Scissione | stagione 2 | la recensione
Cinque mesi dopo il risveglio che ha portato gli interni fuori della Lumon, Mark viene reintegrato al lavoro insieme a Helly, Irving e Dylan, e si prefiggono di trovare Casey e salvarla. Ma quando le cose sembrano mettersi per il verso giusto si palesa una realtà molto più pericolosa di quanto tutti potessero immaginare.
Cinque mesi dopo il risveglio che ha portato gli interni fuori della Lumon, evento che i media hanno definito come Rivolta di Macrodata, Milchick ha sostituito la Cobel e Mark viene reintegrato al lavoro ma con tre nuovi colleghi. Quando mostra riluttanza per la nuova condizione viene licenziato. Ma poco dopo si ritrova di nuovo alla Lumon insieme a Helly, Irving e Dylan con regole per loro decisamente più favorevoli. Mentre Mark rivela che Casey è Gemma, la moglie del suo esterno che si pensava fosse morta, Helly tiene per sé che la sua esterna è un membro degli Eagan, la famiglia a capo dell’azienda. La missione di Mark è quella di trovare Casey e salvarla, e chiede l’aiuto degli altri, col problema che i sentimenti che lui e Helly provano l’uno per l’altra possano influenzare e inficiare le ricerche. Ma quando lei accetta di buon grado, le cose sembrano mettersi per il verso giusto. Fino a quando non inizia a palesarsi lentamente una realtà molto più pericolosa di quanto tutti potessero immaginare.
Una delle migliori serie degli ultimi anni torna con una seconda stagione (qui la recensione della prima stagione) che dopo il suo inizio folgorante, aveva tutte le possibilità per fallire. E sebbene per gli spettatori il ritorno dopo tre anni in una storia tanto interessante quanto complessa non sia una passeggiata, un po’ per volta ci si riconnette coi personaggi sdoppiati tra la vita privata e quella lavorativa. Nel primo episodio torna tutto come all’inizio della prima stagione, lo stesso straniamento dovuto alla mancanza di spiegazioni per accadimenti che invece necessitano di diverse spiegazioni. Tutto appare come altamente inquietante, sebbene in maniera morbida, ma forse proprio per questo ancor più alienante. Ma nel secondo le spiegazioni iniziano ad arrivare così come iniziano, anche se timidamente, a farsi largo le diverse scomode verità. Un montaggio notevole ci porta a comprendere per gradi le intenzioni che si nascondono dietro la lattiginosa apparenza ostentata dai dirigenti della Lumon.
Come nel primo capitolo, diversi episodi sono diretti da Ben Stiller (la metà, tra cui il primo e l’ultimo), che stavolta allarga gli orizzonti e ci porta ancora più dentro le vite dei protagonisti. I familiari all’esterno assumono ruoli più importanti (su tutti, la moglie di Dylan e il marito di Burt) e gli interni vengono addirittura portati fuori dalla Lumon. Nonostante le location si moltiplichino, il senso di claustrofobia non cessa, e ci si rende conto che non è dove si trovano ma ciò che succede loro a creare la gabbia. E lo scopo principale è ancora una volta trovare un varco nel dedalo per venirne fuori, il tutto rappresentato dai molteplici quadri a tema unico dipinti dall’esterno di Irving, quadri che adesso possono trovare una spiegazione e una rivelazione chiave. Poi c’è Asal che cerca modi per “reintegrare” Mark, il quale tenta di ricordare cose conosciute dal proprio interno come quando si prova a ricordare un sogno appena svegli, di cui, più ci si ridesta, più si perdono i contorni. La reintegrazione, l’unione delle due coscienze, è possibile ma che prezzo pagherebbe chi vi si sottopone? E in che modo possono coesistere? Chi dei due prevarrà sull’altro?
È così facile influenzarti.
Mark si comporta in maniera parzialmente passiva, sia per via del suo lutto che ora diventa presunto, sia perché del tutto spaesato dalla nuova situazione. Sembra che non ci sia traccia di quel moto di ribellione che aveva animato lui e i colleghi alla fine della stagione precedente. Gli altri partono ancor più smarriti perché avvertono che l’imbonimento si è trasformato in condiscendenza, e tutto deve distrarre perché nasconde qualcosa di molto grosso. Ma non sanno cosa sia. Dall’altra parte, Harmony Cobel, che in panni civili è la Signora Selvig, cerca se stessa e si mette ad affrontare un passato buio con cui cerca invano di fare i conti. I suoi dubbi sono quelli di un’aguzzina che a un certo punto deve necessariamente capire da che parte mettersi.
Gli stessi problemi ricadono su Milchick, che ora è al comando dei dipendenti, la cui ambizione gli si ritorce contro. Come la Cobel, anche lui inizia a soffrire le pressioni che vengono dall’alto, e la paranoia di poter essere ingannato per interesse da parte di chiunque lo circondi e voglia prendere il suo posto, lo pone in una situazione che nessuno riuscirebbe a gestire con serenità. Accanto a tutto questo, il più grosso conflitto avviene sullo sdoppiamento tra Helena (la padrona) ed Helly (la dipendente). Da una parte una donna fredda, distaccata e priva di empatia, dall’altra una collega innamorata, e appassionata nei confronti di ciò che ritiene giusto. Oltre a questa lotta interiore, i suoi colleghi perdono gradualmente la fiducia riposta in lei e la cosa peggiora di giorno in giorno, fin quando lo stesso Mark non saprà cosa pensare di lei. Tra le varie new entry, il personaggio di Lorne, interpretata da una strepitosa Gwendoline Christie, è non solo il più interessante ma anche quello che avrà un discreto peso ai fini dell’intreccio. Una guardiana (molto particolare) talmente integerrima da diventare un punto di riferimento involontario.
Particolarmente in questa stagione, c’è la sensazione che qualcuno possa conoscere il futuro ma non si sa in che modo. Uno dei punti di forza della serie risiede proprio nel fascino scatenato dal non sapere mai per quale motivo accada quel che accade. In questo senso, il settimo episodio oltre ad essere uno dei migliori e più compositi dell’intera serie è anche il raccordo più importante. Estremamente denso, al punto che se venisse diluito potrebbe essere raccontato in un’intera stagione, dipana il mistero che lega Mark alla Lumon e come questo influisca sul suo rapporto con la moglie Gemma e viceversa. Un pezzo del puzzle fondamentale, finora volutamente mancante, che apre a molteplici possibilità di sviluppi futuri.
Far dimenticare quello che c’è fuori a chi è dentro (e viceversa) è lo scopo dell’azienda, un po’ come in Se mi lasci ti cancello. E come i replicanti di Blade Runner anche i dipendenti della Lumon hanno una scadenza, dovuta al fine ultimo del loro lavoro. Ma a differenza di Roy Batty e compagni, Mark e i suoi colleghi non sanno né il quando né, soprattutto, il perché. E se da un lato lo spettatore vive un senso di oppressione, dall’altro si avverte, anche se da lontano, che la risoluzione finale sarà un enorme sollievo. Almeno fino alla prossima stagione.
Ci sono azioni reiterate, soprattutto all’inizio, che all’apparenza sono inutili e fastidiose, ma in realtà stanno dipingendo il quadro. In questo è impressionante l’efficacia del montaggio che oltre a delineare i confini entro i quali ci si muove, ne scandisce i tempi in maniera inesorabile, alternando una preoccupante quiete alla frenetica ricerca della liberazione. La musica non lascia praticamente mai la scena, ricorrendo a registri agrodolci che sottolineano lo stato alienato cui è sottoposto lo spettatore. Fin quando, a metà stagione, si fa largo una melodia dolce, inaspettata rispetto al tema della serie, suoni che ricordano le prime note del tema d’amore del già citato Blade Runner. Ma non si tratta di un momento romantico, bensì di un’invasione, si spera salvifica, nella mente del protagonista.
La ricerca estetica è ancora una volta centrale nella serie (non perdetevi i titoli di coda dell’ultimo episodio) e chiama chi guarda a comprendere in anticipo tanto di quello che avverrà di lì a poco. Come quando, a un certo punto, le fredde e candide simmetrie vengono (inter)rotte dalla macchina a mano. E quando il bianco sovrano si tinge di rosso è il segnale che il destino che pareva segnato sta per cambiare, come Hal 9000 che lentamente si spegne nel suo giro giro tondo. Come nella prima stagione, tutto si spiega e risolve nell’ultimo episodio. Le note di Windmills of your mind (nella versione magnifica e struggente di Mel Tormé) rompono ogni cosa con la levità e la gravità che solo l’amore può rendere tanto alti. Come in un film della Nouvelle Vague le immagini scorrono in un ralenty che vorrebbe allungare il momento all’infinito. Un corpo, due coscienze, ma solo una alla volta può prendere il sopravvento. Una sequenza da brividi (veri), che fa pensare alla scena finale di Il laureato e che resterà stampata nella mente e nel cuore di tutti. La serie è già stata rinnovata per una terza stagione (che non è stata annunciata come ultima) e se questi continuano a essere i risultati, accompagnati da riflessioni tanto profonde su quanto e come si possano tenere distinti lavoro e vita privata, anche se a discapito dei poveri protagonisti, ci si augura che possa continuare ancora molto a lungo.
VALUTAZIONI
prima della visione
Aspettativa 9 Potenziale 10
dopo la visione
Intrattenimento 8,5 Senso 9,5 Qualità 10
Giudizio Complessivo 9,4
soglia d’attenzione
Scorrevolezza MEDIA Impegno MEDIO
Scissione | stagione 2 (Severance)
thriller, drammatico, fantascienza, commedia | USA | 17 gen - 21 mar 2025 | 10 ep / 52 min | Apple TV+
ideatore Dan Erickson regia Ben Stiller, Sam Donovan, Uta Briesewitz, Jessica Lee Gagné
personaggi interpreti
Mark Scout Adam Scott
Helena / Helly Britt Lower
Harmony Cobel / Signora Selvig Patricia Arquette
Irving Bailiff John Turturro
Burt Goodman Christopher Walken
Fields John Noble
Dylan George Zach Cherry
Gretchen George Merritt Wever
Seth Milchick Tramell Tillman
Devon Scout-Hale Jen Tullock
Ricken Hale Michael Chernus
Casey / Gemma Dichen Lachman
Asal Reghabi Karen Aldridge
Lorne Gwendoline Christie
Miss Huang Sarah Bock
critica IMDb 8,4 /10 | Rotten Tomatoes critica 8.7 /10 utenti 3.8 /5 | Metacritic critica 86 /100 utenti 7,6 /10
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