M - Il figlio del secolo | stagione 1 | la recensione
1919-1925. Dalla fondazione dei Fasci italiani di combattimento allo storico discorso in Parlamento a seguito dell’omicidio Matteotti, si assiste all’ascesa al potere del duce, un giornalista dapprima oscurato da D’Annunzio, ma poi in costante crescita di consenso, fino al momento fatidico da cui partirà il ventennio fascista.
1919. Il 23 marzo avviene la fondazione dei Fasci italiani di combattimento. 1925. Il 3 gennaio Benito Mussolini recita lo storico discorso in Parlamento a seguito dell’omicidio di Giacomo Matteotti. In poco meno di sei anni si assiste all’ascesa al potere del duce, un semplice giornalista dapprima oscurato dallo spirito rivoluzionario di Gabriele D’Annunzio, in seguito in lenta ma costante crescita di consenso, fino al momento fatidico da cui inizierà in Italia il cosiddetto ventennio fascista.
Nel 2018 Antonio Scurati pubblica quello che lui definisce come un “romanzo documentario”. Il libro, da ben 800 pagine, vince il Premio Strega. Comprato in oltre quaranta paesi, ha venduto solo in Italia oltre 500 mila copie e l’attore Marco Paolini ne fa un podcast. Finché nel 2021 il produttore Lorenzo Mieli incontra Joe Wright che accetta immediatamente la proposta di farne una serie tv, le cui riprese sono partite a novembre 2022 per concludersi a maggio dell’anno successivo. La post produzione durata oltre un anno ha portato alla prima proiezione a Venezia a settembre 2024. Le prime due puntate trasmesse su Sky a gennaio hanno raggiunto tra uno e due milioni di contatti diventando uno tra i debutti migliori dal 2021. L’attesa era enorme, la risposta è stata altrettanto forte. Ma perché tanto clamore attorno a un prodotto che mostra un uomo già ampliamente raccontato in diverse altre pellicole?
La messa in scena è del tutto senza precedenti, particolarmente nel panorama seriale italiano. La ricerca e la cura nella realizzazione della serie si sentono dalle prime inquadrature di repertorio con la voce del protagonista che ripercorre il ventennio nel rapporto coi suoi sudditi: noi. Perché il susseguirsi di immagini in bianco e nero si chiude con un implacabile “Guardatevi attorno, siamo ancora tra voi!”. Dopodiché il protagonista appare. Il volto illuminato di blu elettrico, i versi e i sospiri di quello che sembra un toro pronto a caricare. E infine le parole, con lo sguardo in macchina, di un uomo che racconta se stesso in prima persona a partire dal perché dei suoi tre nomi di battesimo. E subito arriva il primo capovolgimento, l’ironia che ha voluto che dovesse condividere il nome con un individuo di bassa statura e per di più “indigeno”.
È con il materiale scadente, con l’umanità di risulta, con gli ultimi che si fa la storia.
La rottura della quarta parete si fa beffe di chi guarda con animo puro e (giustamente) benpensante. D’altronde è ingiusto giudicare aprioristicamente chi in un momento di debolezza si è lasciato abbagliare da quel “progetto”, è giusto che ognuno possa calarsi in quella situazione e ritrovarsi di fronte a qualcosa non immediatamente decodificabile come male assoluto. Mussolini guarda negli occhi lo spettatore per portarlo a ragionare su quanto (allora, ma anche oggi) fosse forte l’influenza del personaggio su così tante persone e fargli arrivare a capire quale sia il suo grado di resistenza, quale sia la soglia entro la quale si riesce a tollerare e oltre la quale non si può proprio andare. Tutto avviene per gradi, ogni nuovo sopruso appare come necessario alla causa, il male verso pochi per il bene comune. Il carisma del duce non può che affascinare in superficie parti dello spettatore: la parte decisa (che portata all’eccesso diviene oscura) e quella forte (che portata all’eccesso diviene violenta).
Io sono una bestia coerente. Ho tradito tutti, tradisco anche me stesso.
Mussolini il trasformista, Mussolini bifronte, Mussolini l’impavido vigliacco, che appena entrato in Parlamento pensa che il più sia fatto. Il mento alzato, apparentemente rivolto verso l’Altissimo, ma che invece lancia se stesso verso l’infinito perché lo sguardo mira in basso, dove tutto sta, tranne lui, tutto e tutti sono sotto di lui, anche dio.
Uh uh, l’Avanti non c’è più!
Le truppe guidate da Mussolini appaiono come scimmie sanguinarie che colpiscono in maniera spietata, agghiacciante. La loro cieca follia dà i brividi, il bestiario che viene servito è un’involuzione: che dalla volgarità dei modi, declina in spregiudicatezza, passa all’arroganza, tradotti infine in truce violenza. Dalle truppe si arriva alla politica, coi suoi improrogabili compromessi che mal si confanno al moto rivoluzionario che il protagonista vorrebbe rappresentare con sopra la sua indelebile effigie. Un protagonista che, salvo poche (ser)vili eccezioni, vogliamo veder fallire nella maniera che più gli è propria: vittima di se stesso attraverso tutti i delitti commessi, uno su tutti quello emblematico della democrazia e della libertà con l’omicidio di Matteotti. Un fallimento che di volta in volta sembra sempre più prossimo, eppure, in un modo o nell’altro egli sfugge non solo alla giustizia ma a tutto ciò che è oggettivamente giusto. O almeno oggi, tutti (o quasi) la vedono così.
Si fa fatica a interrompere la visione per tutta una serie di motivi che messi insieme creano un equilibrio raro. La colonna sonora composta da Tom Rowlands dei Chemical Brothers è una delle cose che donano un carattere internazionale all’intera serie, piuttosto che farla rimanere un canonico prodotto in costume che sfiori il documentaristico. Così come la regia. La macchina da presa si muove come in una coreografia perversa che muove in favore degli inferi dell’anima. E lo fa con leggerezza, in un ossimoro visivo che rompe gli schemi e fa passare perfettamente il messaggio provocando nello spettatore un senso di impotenza verso ciò che è stato. Le poche inesattezze storiche ricoprono un’importanza marginale (la questione del passaporto di Matteotti, il volo di Mussolini che in quegli anni non aveva ancora la patente da aviatore) e sono giustificabili in quanto necessarie alla narrazione. I paralleli subliminali (come l’immagine di Mussolini con le braccia aperte mentre dietro spicca un Crocifisso), le immagini che ricordano la messa in scena morettiana del Caimano, il tono grottesco che si mescola alla commedia (nera) che fa pensare al modo in cui nel 1940 Chaplin sbeffeggiava Hitler col suo Il grande dittatore. Ogni tassello è studiato per sollevare sdegno e catturare l’attenzione.
La mimesi di Luca Marinelli tira fuori il dietro le quinte di un Mussolini inedito. Oltre agli oltre venti chili presi evitando così i posticci, il suo sguardo, la sua cadenza e il suo incedere verbale e fisico riempiono le inquadrature come si fosse di fronte a un ipnotista. Ogni movimento è portato con decisione, ogni parola è pesata e pesante, ogni pausa lascia spazio a un grido d’orrore che il personaggio lascia dietro di sé. Oltre alla sua incombente presenza, sulla scena spicca Barbara Chichiarelli che mostra una Margherita Sarfatti splendente di una luce oscura, di un buio che illumina la scena, quasi fosse lei la vera protagonista. Una donna innamorata, contro tutto e tutti, persino contro se stessa, quando ripete le parole “ti amo” come fossero la sua più grande maledizione. La trasformazione di Mussolini avviene per mano sua, il folle diventa mostro e lei ne è la principale responsabile, lei ebrea, lei che lavorerà in favore della libertà delle donne tutte, proprio lei plasma il duce. Gaetano Bruno urla l’indignazione di Giacomo Matteotti, deriso e infine vigliaccamente ucciso. Un uomo che non trova pace di fronte alla barbarie con cui il suo avversario politico lo sfida beffardamente, in continuazione, in un crescendo esplosivo. E quando di lui non si trovano le tracce, resta la voce di Velia, sua moglie. Elena Lietti (già vista nell’ottima serie Il miracolo oltre che in Siccità di Paolo Virzì e nel fortunato Le otto montagne) nelle pochissime scene in cui appare ha una potenza deflagrante, con la voce quasi sussurrata che esprime frasi secche e inequivocabili, muovendosi tra i pensieri del duce come un fantasma, perfetto sostituto di quello del marito.
Peccato: il fascismo era spesso un problema ma il più delle volte una soluzione.
E poi tanti altri interpreti di spessore: Francesco Russo anima Cesarino Rossi, braccio destro del duce, con uno spirito quasi infantile, un alleato che il capo si terrà al fianco finché non gli converrà tradirlo; Benedetta Cimatti nel ruolo di Donna Rachele, moglie di Mussolini, usa il dialetto come àncora per il marito, per ricordargli da dove viene, nonostante gli obiettivi cui mira, una donna che oltre Ida Dalser (la donna dalla quale Benito aveva già avuto un figlio) deve sopportare la presenza della Sarfatti, ripromettendosi di vendicarsi, ma senza mai riuscirci; Maurizio Lombardi veste i panni di Emilio De Bono, uno dei quadrumviri della marcia su Roma, che si ritrova a dover giustificare gli sfaceli dei “colleghi”, anche lui con poco successo; Paolo Pierobon (che aveva già interpretato il commissario che adotta il figlio illegittimo di Mussolini in Vincere di Marco Bellocchio, oltre al Berlusconi delle serie 1993 e 1994) si cala di nuovo nei panni di Gabriele D'Annunzio (lo aveva già fatto in Qui rido io di Mario Martone) con la decisione di un guerriero d’altri tempi ma in un’impresa assurda; e Vincenzo Nemolato che mostra un Vittorio Emanuele III che con la sua mollezza anticipa quel proverbiale “Ha fatto anche cose buone” oggi in bocca a superficiali e revisionisti, un re inutile e connivente, un irresponsabile che piuttosto che fermare la follia la lascia passare pensando che a qualcosa serva, che qualche cosa, in fondo, poteva sistemarla.
Il finale arriva con una sola parola, agghiacciante, definitiva, tombale. E quando partono i titoli di coda, non si pensa ad altro che al prossimo episodio. Sul seguito i due sceneggiatori si sono espressi chiaramente. Il totale di cinque romanzi (il prossimo 25 aprile esce il quinto e ultimo capitolo della saga scritta da Scurati, quello di Salò, della Resistenza e di piazzale Loreto) potrebbe portare diverse altre stagioni: “Quel che è certo è che non vogliamo finisca qui, nessuno vuole che finisca qui. Questo è il racconto compiuto della nascita di una dittatura, ma è solo l’inizio, ci sono ancora storie strepitose da raccontare. Stiamo discutendo sul formato migliore per proseguire.” E se la qualità resterà la stessa, c’è da attendersi altrettanti capolavori.
VALUTAZIONI
prima della visione
Aspettativa 8 Potenziale 10
dopo la visione
Intrattenimento 9 Senso 9 Qualità 10
Giudizio Complessivo 9,4
soglia d’attenzione
Scorrevolezza MEDIO/ALTA Impegno MEDIO
M - Il figlio del secolo | stagione 1
drammatico, biografico, storico, commedia, grottesco | Italia, Francia | 10 - 31 gen 2025 | 8 ep / 53 min | Sky
regia Joe Wright sceneggiatura Stefano Bises, Davide Serino tratto dal romanzo omonimo di Antonio Scurati
personaggi interpreti
Benito Amilcare Andrea Mussolini Luca Marinelli
Cesare "Cesarino" Rossi Francesco Russo
Margherita Sarfatti Barbara Chichiarelli
Donna Rachele Guidi Mussolini Benedetta Cimatti
Guglielmo Pecori Giraldi, il Generale Claudio Bigagli
Roberto Farinacci Gabriele Falsetta
Amerigo Dumini Federico Majorana
Albino Volpi Federico Mainardi
Gabriele D'Annunzio Paolo Pierobon
Cesare Forni Daniele Trombetti
Bianca Ceccato Cosima Centurioni
Italo Balbo Lorenzo Zurzolo
Giacomo Matteotti Gaetano Bruno
Vittorio Emanuele III Vincenzo Nemolato
Cesare Maria De Vecchi Gianluca Gobbi
Luigi Facta Alberto Astorri
Alfredo Lusignoli, prefetto di Milano Roberto De Francesco
Giovanni Giolitti Fulvio Falzarano
Alfredo Rocco Massimo De Lorenzo
Dino Grandi Gianmarco Vettori
Emilio De Bono Maurizio Lombardi
Velia Titta Matteotti Elena Lietti
Don Luigi Sturzo Paolo Macedonio
Ida Dalser Jessica Piccolo Valerani
critica IMDb 8,3 /10 | Rotten Tomatoes critica 4,2 /5 utenti 4,7 /5 | Metacritic nd
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