Scissione | stagione 1 | la recensione

Fabrizio Guerrieri 30 Settembre 2022 Cinema, Movie e Serie TV

Una serie da recuperare a tutti i costi per qualità, intensità e significato, sviluppata con una trama le cui tessere vengono ricomposte per gradi fino a giungere a un finale di stagione fenomenale che soddisfa qualsiasi palato, in un arcobaleno di emozioni fortissime e rivelazioni esplosive


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La Lumon Industries è una multinazionale i cui dipendenti lavorano senza avere memoria delle loro vite all’esterno dell’azienda. Quando nel reparto Macrodata Refinement arriva la nuova assunta Helly R., il caporeparto Mark, appena promosso dopo che il suo collega e amico Petey non si è più visto, fatica a gestirla. La donna non accetta la condizione in cui si trova e le sue proteste vengono sistematicamente rese vane. Così come i tentativi di inserirla nel gruppo da parte di Mark, che viene ripreso duramente più volte dalla capofiliale Harmony Cobel. Lentamente, i dubbi iniziano a serpeggiare anche nel resto del reparto formato da Dylan e Irving, soprattutto quando quest’ultimo conosce Burt, un dipendente del reparto Optics and Design. Intanto fuori dagli orari di lavoro, Mark conduce una vita quasi normale, purtroppo funestata dalla perdita dell’amata moglie e quando viene messo di fronte alle perplessità di amici e parenti circa la sua scelta di aver praticato la scissione che separa l’ambito lavorativo da quello privato, si capisce che lo ha fatto dopo un periodo devastante in cui non era più in grado di amministrare serenamente la propria esistenza. Ma quando viene avvicinato da un uomo che gli spiega di essere il suo ex collega Petey e di come sia riuscito a farsi reintegrare la memoria, le cose iniziano a deviare inesorabilmente verso la ricerca di una verità controversa circa gli scopi della Lumon e di chi la gestisce.


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Mantenere separati lavoro e privato. In molti ci provano, alcuni ci riescono abbastanza bene, nessuno in maniera effettiva e definitiva. Ma se ci fosse una procedura per farlo davvero, chi vi si sottoporrebbe? È questa la domanda primaria, o meglio, iniziale che pone Scissione, la serie che agli ultimi Emmy è risultata tra le grandi escluse, con 7 nomination ma nessun premio. Il primo episodio parte con una donna che si risveglia distesa su un tavolo da riunioni. Lo straniamento è immediato e le inquadrature simmetriche, particolarmente quelle dall’alto, descrivono subito un sistema chiuso e lineare, ordinato fino all’eccesso, in cui la musica diventa la storia, le dà il colore che in quel momento serve per delineare il soggetto, sostituendosi ai dialoghi. Fino a quando questi arrivano, volutamente noiosi, da ufficio, con alcuni sprazzi di acume. Tutto è completamente asettico a partire dalle menti dei protagonisti, ripulite da ciò che secondo il sistema aziendale non è necessario. Le competenze vengono assunte man mano che si sta alla scrivania davanti a terminali un po’ vintage (che ricordano tanto quelli visti in Loki), il resto è superfluo. Ma per dare un minimo di umanità all’impianto, quando si raggiungono determinati obiettivi si ricevono strani premi cui qualcuno si attacca in maniera quasi maniacale.


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Tutto viene moltiplicato per 2 perché ogni personaggio, in un modo o nell’altro, ha una vita sul posto di lavoro e una fuori. I rapporti con colleghi e superiori da una parte, quelli con le persone care dall’altra. Ma l’unico di cui conosciamo entrambe le identità è il protagonista, Mark, su cui poggiano sia la responsabilità di condurre la propria squadra in modo produttivo sia la speranza dello spettatore che si risvegli da un torpore inaccettabile prima che sia troppo tardi. Il suo spirito positivo e aziendalista, che sa di stantio, alla Lumon, il viso tirato e malinconico a casa. Due anime che da qualche parte, prima o dopo, dovranno fare i conti. Quando arriva la ribelle Helly, tutto cambia improvvisamente. Come un cavallo impossibile da domare, la nuova collega rifiuta la possibilità di aver scelto spontaneamente di prestarsi all’esperimento e coinvolge loro malgrado chi le sta vicino. A lei è dedicato uno dei momenti più scioccanti della storia, quando la sé esterna le ordina di smettere di creare problemi e attenersi al compito che le è stato assegnato.


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Poi ci sono gli altri colleghi. Dylan è un uomo pingue e potenzialmente simpatico se non fosse per gli spiccati sensi di complottismo pittoresco e una punta di squallore. Irving (un ottimo John Turturro) si attiene ai compiti assegnatigli e ha una certa venerazione verso il fondatore dell’azienda, Kier Eagan, di cui riporta spesso i passi motivazionali lasciati in eredità ai dipendenti. Ma le sue certezze, già minate da strane visioni con melma scura ogni volta che gli capita di assopirsi, vengono incrinate quando incontra Burt (un istrionico e magnetico Christopher Walken) col quale si instaura immediatamente un’amicizia e stima profonde e reciproche ma i cui rapporti vengono messi in discussione sia dai sospetti di Dylan sulle reali intenzioni dell’uomo che dal fatto che non si debbano avere contatti con gli altri reparti. A capo dei quali c’è una Harmony Cobel letteralmente inquietante. Patricia Arquette tratteggia il carattere del capo intransigente con la maestria dell’attrice consumata che sa come portare all’esasperazione il proprio personaggio un po’ alla volta. Una figura luciferina, a tratti perversa, che si può accostare all’infermiera Mildred Ratched di Qualcuno volò sul nido del cuculo (e forse ancor di più nella serie a lei dedicata) per lo stesso modo in cui gestisce un gruppo di persone le cui menti sono state compromesse. Una donna che quando non riesce a stabilire il controllo sugli altri perde il proprio autocontrollo con accessi d’ira violenti anche quando non materialmente.


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I toni con cui ogni aspetto della vita in generale, e delle vite dei protagonisti in particolare, viene affrontato è delicato, mai volgare, anche quando potrebbe, per poi aumentare in potenza narrativa e audacia stilistica. Si avvertono chiari gli echi di Eternal sunshine of the spotless mind, Paycheck e The Truman Show, particolarmente nei caratteri e nelle atmosfere da cui gli autori si sono lasciati ispirare e trasportare. La regia di Ben Stiller (che ha diretto i primi tre episodi e gli ultimi tre, mentre i tre centrali sono stati diretti da una paziente e certosina Aoife McArdle) dimostra ancora una volta l’eclettismo di chi è in grado di raccontare follie demenziali come Zoolander passando poi a storie come questa che necessitano di una profondità e una cura enormi. E così come in I sogni segreti di Walter Mitty, la sua ossessione per ciò che viene separato per poi riunirsi lo porta a evidenziare interrogativi di un certo peso con apparente leggerezza. I temi vengono attraversati e raccontati con mano sicura, la mania del controllo, i condizionamenti delle multinazionali sul personale, il lavoro come religione, tutti argomenti che non perdono mai aderenza con una realtà sempre più claustrofobica, offuscata da autoimposizioni che appaiono necessarie per vivere dignitosamente ma che al contrario corrompono fino a dilaniarlo lo spirito individuale.


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Nei primi episodi si entra in un mondo sconosciuto, grottesco e sempre più claustrofobico. La fascinazione è davvero alta e ogni tentativo di staccare gli occhi dallo schermo è vano. I dipinti che fanno da riferimento a una vita che non viene concessa nella sua interezza, rappresentano una finestra su ciò che sta accadendo attorno ai personaggi che vivono in totale isolamento e diventano pezzi di un disegno molto composito e ben ordito. Dopo un po’ però si avverte un po’ di stanchezza, una ripetitività che in qualche modo scontenta lo spettatore rispetto alle promesse iniziali. Il citare continuamente Kier, ad esempio, diventa a un certo punto abbastanza fastidioso. Fino a quando le sue frasi non vengono messe a confronto con altre presenti in un elemento che finisce per caso all’interno della struttura. E anche la delusione diviene passeggera e quella lentezza diventa preziosa. Ciò che viene seminato con sempre maggiore incisività e densità porta a un ultimo episodio straordinario. Tutti i pezzi del puzzle iniziale cominciano a coincidere e contemporaneamente si formano altri puzzle accessori che molto repentinamente si fanno largo e prendono forma. L’impegno profuso nel restare concentrati sugli accadimenti, e ancor di più sui personaggi, giunge a soddisfazione già dal penultimo episodio che porta con sé una prima rivelazione inattesa e sconcertante. Per poi deflagrare completamente in un finale che spiega perché la serie abbia ottenuto un così vasto consenso di pubblico e critica.


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È come se un forzato grigio quasi immobile prendesse vita improvvisamente in favore di un arcobaleno di emozioni fortissime e rivelazioni esplosive. Ci si rende conto pian piano che gli indizi per arrivare ad alcune scoperte erano stati sparsi lungo gli episodi in maniera decisamente mimetica. E quando tutto diviene chiaro e va nel giusto ordine è come aver completato il 100% che i dipendenti della Lumon devono raggiungere, ma dal punto di vista diametralmente opposto. Le domande con cui si resta, ognuna delle quali si presta a diverse possibili versioni, interpretazioni, sviluppi e questioni collaterali multiple, andranno a dipingere una seconda stagione che da queste premesse non potrà che essere ricca, appassionante ed entusiasmante. Nel frattempo sappiamo che le riprese del secondo capitolo inizieranno il 3 ottobre 2022 a New York City e termineranno il 12 maggio 2023. Ci sarà dunque da attendere più del canonico anno per poter capire in che modo Mark e gli altri approderanno alla ricomposizione delle loro vite e a una verità da rivelare al mondo intero su ciò che realmente avviene all’interno della Lumon Industries.


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VALUTAZIONI

dal trailer all’intera serie
Aspettativa 8 Potenziale 9

soglia d’attenzione
Scorrevolezza MEDIA Impegno MEDIO

visione
Intrattenimento 8 Senso 10 Qualità 10
Giudizio Complessivo 9,3

Scissione | stagione 1 (Severance)
thriller, drammatico, fantascienza, commedia | USA | 18 feb - 8 apr 2022 | 9 ep / 49 min | Apple TV+

ideatore Dan Erickson regia Ben Stiller, Aoife McArdle

personaggi interpreti
Mark Scout Adam Scott
Helly Britt Lower
Harmony Cobel / Signora Selvig Patricia Arquette
Irving John Turturro
Burt Christopher Walken
Dylan Zach Cherry
Seth Milchick Tramell Tillman
Devon Jen Tullock
Ricken Michael Chernus
Casey / Gemma Dichen Lachman
Petey Yul Vazquez

critica IMDb 8,7 /10 | Rotten Tomatoes critica 8,5 /10 utenti 4,6 /5 | Metacritic critica 83 /100 utenti 8,4 /10

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Commenti (5)

Gli autori dei commenti, e non la redazione, sono responsabili dei contenuti da loro inseriti - Info
  • papazli

    30 Settembre 2022, 13:21

    A mio avviso, una delle migliori serie che abbia visto con anche una qualità video molto alta, pur essendo uno streaming.
  • marklevi

    30 Settembre 2022, 23:06

    Come senso e scrittura la miglior serie dell'anno.
  • stazzatleta

    03 Ottobre 2022, 08:51

    Ottimo, non l'avevo presa in considerazione, ma adesso inizierò a guardarla con interesse.
  • renato_blu

    06 Ottobre 2022, 09:05

    Dopo averla finita devo dire che non vedo l’ora che arrivi la S2.
    Grande serie e grande significato.
    Qualità video alta come da tradizione Apple con le solite piccole incertezze a livello di encoding sulle basse luci e sullo sfocato.
  • nicolarush

    22 Ottobre 2022, 11:38

    Mi associo ai commenti, serie capolavoro.
    Recitazione di altissimo livello da parte di tutti, dal protagonista ai tanti di supporto.
    Una scrittura impeccabile, nella storia come nei dialoghi, con un crescendo di tensione e colpi di scena senza sbavature.

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