The Midnight Club | la recensione
Quando l’adolescente Ilonka scopre di avere un male incurabile si trasferisce presso una struttura che ospita giovani malati terminali. Che ogni notte in segreto si riuniscono per scambiarsi racconti dell’orrore e giurare che chi muore dovrà trovare un modo per comunicare con gli altri dall’aldilà.
Nel 1994 la giovane Ilonka sta per andare al college quando scopre di avere un cancro incurabile alla tiroide. In rete scopre che anni prima una ragazza era misteriosamente guarita mentre si trovava presso il Brightcliffe Hospice per malati terminali. Decide così di trasferirvisi e passare lì i suoi ultimi giorni. Conosce così gli altri ragazzi e ragazze ospiti della struttura che ogni notte in segreto si riuniscono in una sala a mezzanotte per scambiarsi racconti dell’orrore come per esorcizzare la malattia. In più ognuno giura che una volta passato a miglior vita cercherà in ogni modo di comunicare con gli altri ancora vivi dall’aldilà. Mentre iniziano ad accadere strani episodi sovrannaturali, il gruppo viene portato a credere che ci sia un modo per guarire davvero e questo innesca una serie di eventi che metteranno in discussione tutti, tra l’amara verità circa il poco tempo rimasto e la dolce speranza di salvezza.
Arriva su Netflix la serie tratta dall'omonimo romanzo del 1994 (e da altre opere) di Christopher Pike, creata da Mike Flanagan, showrunner del ciclo di serie horror The Haunting (Hill House e Bly Manor) e dell’ottima Midnight Mass (e che ha terminato le riprese di La caduta della casa degli Usher tratto da Edgar Allan Poe). L’impatto emotivo è immediato: un’adolescente coi suoi sogni e una vita davanti si ritrova all’improvviso a dover fare i conti con una malattia grave che non le lascia scampo. Subito dopo, il drammatico lascia spazio prima all’orrore delle storie inventate dai giovani poi al mistero circa una setta che potrebbe aver preso vita all’interno del Brightcliffe tempo addietro. Si stabiliscono nella narrazione la trama principale orizzontale e diverse verticali ognuna diversa, alcune in qualche modo in stretta correlazione con il vissuto o i sentimenti dei membri del creativo gruppo.
Ilonka è occhi e orecchie dello spettatore. Come ultima arrivata comprende volta per volta i meccanismi instauratisi tra i ragazzi ma la pace che cerca nell’hospice viene spesso interrotta da visioni spaventose (e non sarà l’unica a soffrirne). Il suo racconto della guaritrice sintetizza il suo essere. È infatti lei la più determinata nel cercare una via d’uscita dalla malattia, provando a portare dalla sua parte anche gli altri. Il secondo episodio è tanto notevole quanto spaventoso. La storia di paura ha al centro un doppelgänger: una ballerina di danza classica stanca delle continue privazioni cui è sottoposta decide di affidarsi al diavolo per sdoppiarsi in modo che una parte di sé possa vivere con leggerezza. Il racconto è portato da Anya, una ragazza il cui carattere scontroso fa da perfetto opposto alla sua compagna di stanza Ilonka. L’interpretazione di Ruth Codd (attrice realmente amputata) è intensa e straziante, mostrandola come apparentemente insostenibile dal punto di vista umano, insopportabile nel suo continuo sarcasmo e sempre sulla difensiva, ma il cui passato cela problemi non indifferenti e la cui durezza diventa utile per guardare le cose in modo realistico. Kevin è il primo a entrare in contatto con la nuova arrivata con cui si stabilisce un’affinità immediata. Il suo essere gentile si contrappone ottimamente alla sua storia che descrive un serial killer di ragazze.
Sandra è molto religiosa e vorrebbe che anche gli altri condividessero il suo credo. Il suo noir poliziesco in bianco e nero contiene elementi tipici della divinità, sebbene lei non ne abbia affatto contezza. Amesh racconta di un programmatore di videogames che fa la conoscenza di un mito del mondo ludico che lo invita a provare il suo ultimo war game ancora in fase di sperimentazione. Una delle storie migliori per i tanti elementi di cui è costituita e per le diverse sorprese che nasconde. La storia di Natsuki si trasforma lentamente in un viaggio surreale in cui la protagonista fa salire a bordo due musicisti molto ambigui. La distanza tra sogno e realtà diviene sempre più labile fino a una rivelazione sconvolgente. Spencer è nero, gay e affetto dall’HIV. Per questo il suo rapporto con Sandra è difficile e controverso, mentre il suo racconto di un videoregistratore che vede nel futuro ha un po’ di Ritorno al Futuro e un po’ di Terminator, entrambi film che vengono citati anche direttamente. L'unica che non racconta una storia è Cheri, bugiarda patologica che sostiene che i suoi genitori siano molto famosi. L’attrice che la interpreta ha dichiarato che avrebbe voluto che Cheri raccontasse una storia in stile Mad Max, un qualcosa di fantascientifico e apocalittico ambientato nel deserto. Infine ci sono due donne che vengono mostrate come divergenti l’una dall’altra. La dottoressa Stanton che dirige la struttura con dedizione e amore verso i ragazzi, lasciando loro il massimo della libertà e facendogli esprimere ogni sentimento interiore, e Shasta che si aggira attorno alla tenuta del Brightcliffe in cerca di ingredienti per le cure naturali create dalla sua azienda. Ilonka resta affascinata da quest’ultima perché vede in lei forza, luce e speranza, una sorta di prolungamento di ciò in cui crede.
Tra i brani famosi reintepretati (tra cui una soave versione di Good riddance dei Green Day), i fantasmi che appaiono improvvisamente (il primo episodio ha battuto il Guinness dei Primati con ben 21 jumpscare), la gioia di vivere quello che resta in contrasto con la cruda realtà, e la fervida fantasia che si mescola abilmente a un orrorifico sovrannaturale, la serie scorre con grandi densità e qualità, sia visive che di scrittura. La sceneggiatura, come nelle opere precedenti di Flanagan, non è mai scontata e crea fascinazioni e collegamenti continui, in un (apparente) allontanarsi e tornare al nucleo principale che non è facile trovare in altri prodotti, non con tanta brillantezza. Il modo in cui riesce a far convivere il dramma della malattia con le storie fantastiche (con le quali, da sole, si potrebbero scrivere altre otto serie) è degno di alcune cose di Spielberg. Purtroppo giunge un finale non risolutivo per un paio di aspetti fondamentali che erano stati descritti come parti centrali della narrazione, e un po’ confuso e sospeso nella realizzazione. Un vero peccato per un racconto tanto vivido e forte, il cui ritmo è davvero ben dosato ed equilibrato. Un racconto il cui pregio è però quello di traghettare chi guarda verso il complesso tema dell’accettazione in maniera non banale. Sia grazie alla suddetta sceneggiatura che alla coralità di un cast ben scelto che è in grado di muoversi dinamicamente, guidato da una regia che sa dove e come rallentare e accelerare i tanti accadimenti, con un montaggio puntuale, perché delicato ed esplosivo a seconda del momento.
VALUTAZIONI
dal trailer all’intera serie
Aspettativa 8 Potenziale 9
soglia d’attenzione
Scorrevolezza MEDIA Impegno MEDIO
visione
Intrattenimento 7 Senso 7,5 Qualità 8
Giudizio Complessivo 7,5
The Midnight Club | miniserie
drammatico, horror, thriller | USA | 7 ott 2022 | 10 ep / 54 min | Netflix
ideatori Mike Flanagan, Leah Fong tratta dall’opera omonima di Christopher Pike
personaggi interpreti
Ilonka Pawluk Iman Benson
Anya Ruth Codd
Georgina Stanton Heather Langenkamp
Shasta Samantha Sloyan
Tim Matt Biedel
Kevin Igby Rigney
Sandra Annarah Shephard Cymone
Spencer William Chris Sumpter
Chery Adia
Natsuki Aya Furukawa
Amesh Sauriyan Sapkota
Mark Zach Gilford
critica IMDb intera stagione 6,7 /10 singoli episodi 7,5 /10 | Rotten Tomatoes critica 7,4 /10 utenti 3,3 /5 | Metacritic critica 64 /100 utenti 6,5 /10
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