Spectre

Alessio Tambone, CineMan 09 Novembre 2015 Cinema, Movie e Serie TV

L'atteso nuovo capitolo cinematografico dedicato a James Bond è finalmente nelle sale di tutto il mondo. Analisi della pellicola e considerazioni su una doppia proiezione all'Arcadia di Melzo

Giudizio artistico

Già quando lo scettro dell'agente segreto più famoso del mondo passò da Roger Moore a Timothy Dalton mi sono spesso domandato se prima o poi si sarebbe tornati a parlare della mitica Spectre e del suo capo, quell'Ernest Stavro Blofeld comparso per la prima volta in “Dalla Russia con amore”, interpretato nel corso del tempo da tanti grandi attori tra cui il compianto Donald Pleasance.

Da Timothy Dalton a Pierce Brosnan e poi l'inizio dell'era Daniel Craig ma della Spectre sempre nulla. Pensavo si trattasse di scelte artistiche, ignaro dei problemi con i detentori dei diritti che avevano impedito che l'organizzazione criminale tornasse a far parlare di se.

Desiderio esaudito all'annuncio del ventiquattresimo film della saga, quando ancora speravo che mi sarei trovato di fronte un'avventurosa spy story che quantomeno si avvicinasse al precedente magnifico “Skyfall”.

Ahimè rimestare nuovamente nel passato dell'agente segreto britannico appiccicando con lo sputo una serie di eventi non mi è sembrato granché e più passavano i minuti più tutto mi scivolava addosso in una sarabanda di banalità. Al termine della proiezione e con un gran mal di testa l'unica domanda che mi sono posto è stata: che bisogno c'era di fare il film se non si aveva una storia dignitosa?


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Perché John Logan (“Skyfall”, “Hugo Cabret”), Neal Purvis (“Skyfall”, “Quantum of Solace”, “Casino Royale”), Robert Wade (“Skyfall”, “Quantum of Solace”, “Casino Royale”) e Jez Butterworth (“Black Mass”, “Edge of tomorrow”) non hanno atteso momenti di più propizia ispirazione? Craig avrebbe (e forse l'ha fatto) potuto dire la sua visto che compare anche tra i produttori. Che l'era Bond sia al tramonto per mancanza di idee?

Sulla carta l'idea sarà anche sembrata vincente ma la messa in opera è diametralmente opposta. La prima metà del film è terribilmente lenta, la trama non decolla, il (troppo) consueto viaggio di 007 in giro per il mondo un mero esercizio di stile, routine nella routine cinematografica che un personaggio come quello inventato da Ian Fleming e un attore con grande carisma come Daniel Craig proprio non meritavano. Citare il passato è un conto, sfruttarlo a proprio vantaggio per assecondarne la catena di eventi non è un problema, almeno fino al momento in cui il gioco della memoria non si trasforma in un dito dietro cui nascondersi perché non si hanno idee, non si sa da che parte spacciare questa emerita minestra riscaldata.

Ma se “Skyfall” salutava il passato rinnovandosi perché tornare nuovamente indietro nel tempo? Omaggi al Bond che fu? Ma per cortesia, piuttosto una valanga di déjà vu che invece di coinvolgere creano un vuoto pneumatico mentre il ritmo migliora attorno a metà dei (troppi) 150 minuti del film ma è davvero tardi, mentre gli sceneggiatori tentano di tutto per reggere la fragile impalcatura della storia arricchita da rivelazioni che lasciano perlopiù indifferenti.

La 'vacanza' romana di Bond è insulsa, quasi ridicola, con un altrettanto inutile siparietto assieme a una Monica Bellucci stile vedova sarda cui 007 ha ammazzato il potente marito e che in maniera altrettanto stucchevole e stantia fa cadere ai suoi piedi dopo averle salvato un attimo prima la vita. Il 'famoso' inseguimento per le vuote (!) vie della capitale è un altro esercizio di stile senz'anima. Quando nel cuore della notte due bolidi sfrecciano di fronte a San Pietro e alla sua piazza inverosimilmente deserta viene da sorridere: nemmeno uno straccio di volante delle forze dell'ordine? Di questi tempi?


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Certo è Bond, stiamo al gioco o non andiamo a vederlo ma forte di “Skyfall” credevo fosse stato fatto ben altro, a Roma poi dopo tutto il baccano mediatico che aveva suscitato la presenza della troupe.

Lo stesso 007 non è più l'agente dell'MI-6 con virtù e debolezze di “Skyfall”, alcolista che mostrava pericolosamente il fianco, incapace di superare i test psico-fisici. In “Spectre” sembra più un Terminator: in una sequenza di combattimento all'arma bianca, messo mortalmente in difetto dal colossale avversario, sfonda l'arredamento di una carrozza ferroviaria scaraventato ripetutamente da una parte all'altra. Il giorno dopo scende dal treno senza un graffio. L'ironia ci vuole, meglio se stemperata dalla classe e dallo stile di un grande attore ma qui l'ho trovata spesso fuori luogo mentre persino alcuni abiti indossati da Craig mi sono sembrati una taglia inferiore alla sua, come nel prologo, non credo perché imbolsito ma più probabilmente per un errore del reparto costumi. Forse questo personaggio a Craig oramai sta troppo stretto.  

A proposito di villain: solo due, anche qui sulla carta capaci e bravi ma i creativi non hanno saputo stimolarne la malvagità, qui confusa tra stupidità e cialtroneria da rigattieri. Dave Bautista, ex wrestler statunitense (“I guardiani della galassia”), un gigante che avrebbe dovuto ricordare i colossali avversari di Bond del passato come il compianto Richard Kiel, il mitico 'Squalo' contro cui Roger Moore combatte in “Moonraker – Operazione spazio” o ancora Toshiyuki "Harold" Sakata, il possente Oddjob col suo tagliente copricapo in “Goldfinger”.

Il Mr. Hinx di Bautista è un cattivo di poche parole ma con ben poco da dire in tutti i sensi, sfruttato più come bassa manovalanza che non come punta di rottura al soldo di SPECTRE, il cui leader è interpretato da Christoph Waltz. Con l'attore austriaco si è colta l'occasione per raccontare il prezioso antefatto che rivela l'origine del nome e della profonda lacerazione in viso di Blofeld, personaggio che a storia conclusa più che l'intelligente e spietato capo della più potente organizzazione criminale al mondo sembra un ruba galline.

Segue : L'apertura

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