La risposta in frequenza dei diffusori
Esibita a garanzia di prestazioni eccellenti, la risposta in frequenza è spesso figlia di errate tecniche di misura. In questa guida, troverete una retrospettiva sulle tecniche di misura oltre a come preparare il diffusore alla misura e come posizionarlo al meglio
Spesso si esibisce la risposta in frequenza quale garanzia di prestazioni immancabilmente eccellenti. Ciò accade per i produttori ed anche per gli autocostruttori che ormai utilizzano le stesse schede di misura dei costruttori. Nella realtà si possono ottenere diverse risposte in frequenza a seconda di come ci si posiziona nell’ambiente di misura ed a volte le conclusioni possono essere diverse o deludenti. In genere si dà la colpa alle schede di misura o all’elettronica di potenza. La verità, provata e provabile, è che è semplicemente scorretta la tecnica di misura. In questo articolo vedremo come preparare il diffusore alla misura e come posizionarlo al meglio nella nostra sala misure, assieme ad una retrospettiva sulle tecniche di misura utilizzate prima dell’avvento del computer.
SOMMARIO
- Il mito della camera anecoica
- La storia delle tecniche di misura
- La separazione tra tempo e frequenza
- Finestra e doppia finestra
- Campo vicino e campo lontano
- Come gestire l'accordo reflex
- Camera anecoica vs. GPM Lab
Il mito della camera anecoica
Fino alla fine degli anni ’80 era semplicemente impensabile effettuare una misura di risposta in frequenza di un sistema di altoparlanti senza scomodare una attrezzatura che costava come un appartamento. Occorreva un generatore sinusoidale molto preciso, sincronizzato con un registratore di livello, ovvero con un rettificatore di precisione che pilotava un pennarello che tracciava le variazioni di pressione su un rotolo di carta speciale, corrispondente con precisione al segnale inviatogli da un costoso microfono di misura attentamente calibrato. Si doveva sincronizzare con una certa precisione lo scorrere della carta con la frequenza emessa dall’oscillatore. Occorreva poi un amplificatore di potenza estremamente stabile e dalla banda passante estesa ben oltre i classici 20-20.000 Hz, giusto per non avere rotazioni di fase importanti agli estremi di banda. Una volta in possesso di questa costosissima apparecchiatura occorreva la cosa certamente più costosa di tutto il sistema: la camera anecoica.
La camera anecoica è costituita da una stanza molto grande e molto alta. Già vuota, in fase di costruzione, la camera anecoica deve essere isolata meccanicamente ed acusticamente dall’esterno per avere, a lavoro finito, un rumore di fondo praticamente inconsistente, misurabile in circa 15-20 dB. Una volta completata la costruzione occorre rivestire tutte le sei pareti, compreso ovviamente il pavimento, dei caratteristici “spicchi” di materiale assorbente, tipicamente lana di roccia, poliuretano oppure, in epoche più recenti, di resina melamminica. L’altezza dello spicchio, unitamente alle dimensioni della camera, definisce l’estensione senza particolari ondulazioni della gamma bassa. L’altezza del singolo spicchio viene calcolata ad un ottavo od un decimo della lunghezza d’onda per la minima frequenza da riprodurre mentre l’altezza della camera “vuota” deve essere poco inferiore alla lunghezza d’onda della minima frequenza da riprodurre.
Due conti ci dicono che per riprodurre correttamente i 40 Hz occorrono spicchi alti poco meno di un metro mentre la sala vuota deve essere alta più di 8 metri. Dimensioni proibitive dunque, dalla complessità e dal costo di messa in opera improponibili per un privato o per un piccolo costruttore. Le camere anecoiche ben funzionanti disponibili in Italia erano davvero poche. Ricordo, per averle visitate verso la fine degli anni ‘80, quella della RCF di Reggio Emilia, quella di dimensioni appena inferiori della ESB ad Aprilia e quella della Facoltà di ingegneria a Napoli. Ho avuto modo anche di vedere quella del Ministero della ricerca russa realizzata con l’ovatta al posto della lana di roccia, quella della canadese Mirage e quella cinese della Gold Peak, di dimensioni piuttosto simili mentre ho soltanto intravisto quella enorme, mai terminata della ESB. Paul Barton della PSB mi ha descritto per sommi capi quella stratosferica del CNR canadese, più grande di una cattedrale e dotata di ripiani mobili per ridurne le dimensioni.
A detta di molti trovarsi chiusi in una camera anecoica senza il minimo rumore di fondo è una esperienza spaventosa. In effetti mancano le riflessioni delle pareti e del pavimento che permettono al nostro cervello di tenerci in equilibrio, che è reso ancora più precario dal camminare su una rete sospesa che deve superare ovviamente l’altezza degli spicchi posti sul pavimento. Devo dire che a me il primo ingresso in camera anecoica non fece alcun effetto particolare, mentre notai che la voce del mio interlocutore, il bravissimo Paolo Soldati, sembrava uscire dalla sua bocca come un fumetto. Cosa ha di speciale la camera anecoica e cosa la differenzia da una normale stanza “per civili abitazioni”? La risposta riguarda due qualità difficili da ottenere: il rumore di fondo e le riflessioni dalle pareti che a bassa frequenza in un ambiente non trattato raggiungono livelli tali da falsare la curva di risposta almeno fino a 1500-2000 Hz. Oltre a ciò occorre aggiungere, a bassissima frequenza, il rumore della struttura, oscillante tra i 5 ed i 15 Hz e quello particolare proveniente delle pareti, che in una casa non possiedono una elevato potere di isolamento dal rumore esterno. Una delle equazioni base dell’isolamento di una parete, la cosiddetta “legge della massa”, dice che in un ragionevole intervallo di frequenze:
Delta pressione (dB) = 20 log (M x F) – 48
Dove Delta pressione è l’isolamento in decibel attuato dalla parete, M è la massa per metro quadro (attenzione, non la densità!) del materiale che costituisce la parete ed F è la frequenza ove si vuole calcolare l’attenuazione. Già questa formula ci suggerisce che per far rimanere costante il prodotto M x F al diminuire della frequenza occorre aumentare M. Due calcoli ci dicono che per ottenere una attenuazione di 50 dB, che non sono nemmeno pochi, a 100 Hz occorre che un metro quadro di parete pesi circa 800 kg, una massa non certo semplice da ottenere, che al dimezzarsi della frequenza raddoppia. Ecco perché spesso si fa ricorso alle doppie pareti disaccoppiate, distanziate da una intercapedine riempita di sabbia, oppure di sabbia e pallini di piombo, come mi è capitato di vedere recentemente. Se in un appartamento potrebbe sembrare un tantino esagerato questo tipo di isolamento nella costruzione delle camere anecoiche risulta fondamentale e praticamente obbligatorio.
Comunque sia tanto in camera anecoica che in un ambiente sufficientemente trattato bisogna verificare che raddoppiando la distanza del microfono dal diffusore si ottenga un abbassamento della pressione quanto più vicina possibile ai 6 dB. In camera anecoica il procedimento di misura è abbastanza semplice: si posiziona il microfono ad uno o più metri, in dipendenza dell’altezza del diffusore, e si lascia partire lo sweep, ovvero la spazzolata in frequenza, che parte da quella minima che si intende misurare e si ferma alla massima frequenza voluta. Senza particolari estensioni hardware non si ottiene alcun file ma semplicemente una risposta disegnata su un foglio di carta, la famosa “striscia” (la seconda foto, dall'alto), alla quale, vista le difficoltà costruttive, spesso si attribuisce una importanza inusitata.
La storia delle tecniche di misura
Col sopraggiungere del computer e dei convertitori A to D dotati di una decente risoluzione una buona parte delle caratteristiche necessarie per effettuare una misura quanto meno realistica è venuta a decadere. Ma vediamo come il sistema di misura si sia evoluto nel tempo. Prima ancora della comparsa dei sistemi di acquisizione digitale fu proposto dalla solita Bruel&Kjaer un intelligente misuratore a finestra, il Gating System 4440 che, pur attraverso una calibrazione abbastanza complessa dipendente dalle dimensioni dell’ambiente di misura, consentiva una notevole precisione, paragonabile a quella della camera anecoica. Si trattava, in buona sostanza, di un doppio interruttore che da un lato rendeva impulsivo il segnale sinusoidale applicato in ingresso facendolo partire e fermare quando il segnale passava per lo zero, e dall’altro, in ricezione, ne analizzava una porzione prima che la riflessione dalla superficie più vicina arrivasse al microfono.
Un sistema in verità ingegnoso che consentiva una misura corretta anche alle frequenze mediobasse. Sia in camera anecoica che in ambiente non particolarmente trattato utilizzando il gating system non si riusciva comunque ad avere una gamma bassissima esente da oscillazioni e si adottava, ieri come oggi, la tecnica del “near field” ovvero del campo vicino. Il campo vicino consiste nel posizionare il microfono di misura ad una distanza molto ridotta dall’altoparlante che emette le basse frequenze. Il segnale emesso dall’altoparlante è molto più forte delle riflessioni che finiscono con lo sparire. Per raccordare le due misure, quella in campo lontano e quella in campo vicino e farle venire in un solo grafico privo di discontinuità è necessario raccordare l’immancabile aumento di pressione del campo vicino utilizzando un adeguato potenziometro del guadagno.
A tal proposito il registratore di livello B&K 2307 consentiva anche una spazzolata in frequenza al contrario, di modo che si potesse scendere da 200 a 20 Hz avendo cura che il punto di giunzione, tipicamente a 200 Hz in tutte le camere anecoiche che ho visitato in passato, fosse allineato con precisione. Come vedremo anche con le schede di acquisizione più sofisticate non si può evitare questa tecnica, in verità poco complicata ma capace di fornire risultati esatti. La risposta eseguita in gamma bassa in un ambiente col microfono posto magari nella posizione di ascolto misura infatti la risposta del diffusore in quell’ambiente e non solo quella del solo diffusore, non potendosi in questo modo paragonare due diffusori, perché la misura è effettuata in condizioni diverse. Secondo me è una misura tanto coreografica quanto inutile.
A mia esperienza posso dire che spesso le misure effettuate su un diffusore nuovo prima e dopo il rodaggio possono variare, nell’andamento ma non nella sostanza, di oltre mezzo decibel. Per ovviare a questo errore ed aggiungere precisione alla precisione occorre rodare gli altoparlanti. Ho preparato e messo a punto nel tempo una traccia di una ventina di minuti costituita dalla bassissima frequenza modulata che uso per il rodaggio dei woofer miscelata ad una traccia di rumore rosa per la gamma media, diciamo da 100 a 5000 Hz miscelata, ancora, con una traccia di rumore bianco che insiste maggiormente sul tweeter facendo lavorare ben bene le sospensioni. Il segnale non è continuo ma ad impulsi, di un mezzo secondo on ed un secondo off. In tale modo le bobine si scaldano il meno possibile ma bastano giusto una ventina di minuti per avere il diffusore appena rodato e pronto per le misure. Riproduco questa traccia un paio di volte anche prima della sessione di ascolto.
La separazione tra tempo e frequenza
Verso la metà degli anni ’80 si cominciò a cambiare prospettiva, ragionando nel dominio del tempo e non più in quello della frequenza. Il segnale di prova era drasticamente differente dalla pura e semplice sinusoide, poco presente nella musica. In pratica si inviava un impulso molto stretto (pochi microsecondi) al sistema da misurare, quindi dalla banda passante notevole, e se ne effettuava la trasformata di Fourier, ottenendo così una risposta in frequenza accettabile. L’inconveniente principale, come ebbe ad ammettere lo stesso “inventore” di questa tecnica, era rappresentato dal rapporto segnale/rumore che imponeva un drastico aumento del livello del segnale che portava in breve tempo alla distruzione del tweeter, oltre che ad una serie di ondulazioni difficilmente prevedibile. Verso la fine degli anni ’80 si cambiò ancora approccio con un nuovo tipo di segnale.
Si trattava di un rumore simile a quello bianco, che contiene tutte le frequenze poste allo stesso livello, ma non è casuale come il White Noise (rumore bianco). Uno shift register infatti genera una sequenza ben ripetibile che quindi può essere sincronizzata con precisione al segnale generato: si tratta del rumore denominato MLS (Maximum Lenght Sequence). Una particolare operazione, chiamata “fast Hadamard” consente di ricavare la risposta all’impulso con una grande velocità, visto che nel calcolo, almeno in quello sviluppato dalla DRA Labs non ci sono moltiplicazioni ma solo addizioni e da questa infine si ottiene, tramite Fourier, una risposta in frequenza di grande precisione. Ovviamente la tecnica permetteva e permette ancora oggi, tutta una serie di accorgimenti per evitare errori altrimenti difficilmente quantificabili. La misura digitale infatti fornisce sempre un risultato “guardabile” anche se contiene errori abbastanza importanti. Il concetto base da cui partire è quello della finestra di analisi, detta anche “finestra temporale”.
Si tratta, come possiamo vedere dalle figure successive,, di limitare l’analisi della trasformata di Fourier dalla partenza dell’impulso rilevato dal microfono fino alla prima riflessione, tipicamente quella del pavimento che risulta la più vicina. Una volta stabilito l’inizio e la fine dell’impulso lo si trasforma nella risposta in frequenza, che risulta praticamente anecoica, non contenendo riflessioni. Detta così sembrerebbe una misura facile da realizzare, ma nella realtà delle misure terrene non è poi tanto immediata. La prima “trappola” è rappresentata ovviamente dalla durata dell’acquisizione e quindi dalla lunghezza della finestra temporale. La seconda limitazione è dovuta alla presenza o meno di una finestra di correzione, la cosiddetta “finestra di pesatura” che si applica all’acquisizione una volta ottenuto l’impulso. Ora vedremo.
Finestra e doppia finestra
Sistemiamo il diffusore da misurare in un ambiente abbastanza angusto e non previsto per effettuare misure e quindi non specificamente trattato, come quello di una normale stanza di casa. Posto che l’amplificatore abbia una risposta sufficientemente piatta e che il microfono sia di livello accettabile otterremo un grafico come quello visibile qui in alto. Possiamo notare una acquisizione che vale zero volt fino ad 1,455 millisecondi. Sapendo che il suono viaggia a circa 343,5 metri al secondo (a 20° di temperatura) calcoliamo che impiegherà 1/(1000 x 343.5) =2,911 millisecondi per percorrere un metro, dall’altoparlante sotto test al microfono di misura. Nel nostro caso il microfono è posto a mezzo metro di distanza dal diffusore sotto test, motivo per il quale il tempuscolo dovuto al “viaggio del suono” vale 1,455 millisecondi. La definizione più calzante di questo intervallo di tempo è dovuta all’italianissima Audiomatica che lo chiama “Tempo di volo” e credo che espressione più calzante non esista.
Subito dopo notiamo l’impulso prodotto dal diffusore, impulso che si smaltisce in pochi millisecondi, a meno delle riflessioni visibili appena prima dei 6 millisecondi, che stanno a rappresentare nel nostro caso la riflessione dovuta al tavolo ove è sistemato il diffusore. Attenzione a non sottovalutare l’ampiezza delle riflessioni, visto che l’acquisizione è visualizzata in volt e non in decibel. Come possiamo vedere dal grafico la finestra di analisi va da 1,455 a 5,47 millisecondi, limite di sicurezza scelto prima dell’arrivo della riflessione del tavolo, per una lunghezza che vale 5,47 – 1,455 = 4,0205 millisecondi, ovvero 0,0040205 secondi. Non utilizzando alcuna finestra di pesatura otterremmo il grafico di Figura 3. Non una gran cosa in verità. La striscia blu posta sopra e sotto il grafico ci dice che la validità in bassa frequenza vale, con il setup che abbiamo scelto:
Fmin = 1/T
Dove T rappresenta la lunghezza della finestra di analisi, ovvero nel nostro caso:
Fmin = 1/0,004025 = 248,44 Hz.
Ripeto, non una gran cosa, viste le ondulazioni presenti su tutta la risposta, specialmente in gamma media. In questo caso appare conveniente usare una finestra di pesatura. Di che si tratta? Si tratta di una operazione matematica che opera delle attenuazioni sull’impulso prima di trasformarlo in frequenza. Le svariate finestre di pesatura non fanno altro che “equalizzare”, se mi passate il termine, l’acquisizione, di modo che ai limiti della finestra temporale scelta l’ampiezza dell’acquisizione abbia una ampiezza trascurabile, come nella figura qui in alto (la 'campana' con i puntini di colore viola). Nel nostro caso di risposta all’impulso e non di un segnale continuo notiamo che la massima ampiezza è concentrata all’inizio dell’acquisizione, motivo per il quale la finestra di pesatura piena (full window) risulterebbe inutile, misurando valori troppo bassi.
Si usa in questo caso la mezza finestra, (half window) il cui andamento potete vedere nella figura qui in alto. Come possiamo vedere, la finestra di colore viola assegna il massimo peso, ovvero una attenuazione zero, all’inizio dell’acquisizione, proprio dove c’è il massimo dell’impulso e poi gradatamente plana fino ad avere l’attenuazione massima alla fine della finestra. Vediamo dalla Figura 5 che la prima riflessione, posta in questo caso a circa 8 millisecondi, risulti fortemente attenuata dalla finestra di pesatura, consentendo una risposta più pulita. Più è “pesante” l’intervento della finestra di pesatura minore è la risoluzione in gamma bassa, e ciò appare ovvio perché la FFT analizza un numero inferiore di punti di una certa ampiezza, ma questo è lo scotto da pagare per ottenere un grafico pulito, non potendo estendere la frequenza oltre la prima riflessione. Veniamo alle attenzioni furbe.
I “trucchi”da utilizzare in questo caso sono due, uno di natura software ed uno… Di attenzione al posizionamento. Il trucco software è stato messo a punto dal grande Doug Rife, il papà di MLSSA e va sotto il nome di Speaker Adaptative Windows. Si tratta in effetti di una doppia finestra di pesatura, diversificata per la gamma alta e per quella bassa, con la seconda che ha una durata nel tempo quasi dieci volte quella scelta in fase di analisi, che vale soltanto per la gamma medioalta. Nella figura qui in alto possiamo vedere la differenza in estensione tra una Half Blackman-Harris (curva nera) e di una Adaptive Speaker Window implementata sin dalla terz’ultima release di MLSSA, quindi a cavallo degli anni 2000. In questo caso abbiamo misurato un piccolo satellite che ha la F-3 a circa 90 Hz, quasi del tutto rilevata nella sola misura in far field. Il trucco di disposizione del diffusore riguarda sia l’altezza del diffusore da terra che la sua posizione rispetto alle pareti. Per eliminare infatti le riflessioni delle pareti è conveniente posizionarsi, sia col diffusore che col microfono sulla diagonale della nostra “sala misure” in modo di aumentare la distanza delle riflessioni dall’impulso primario.
La finestra di pesatura provvederà quindi ad attenuarle ulteriormente. A costo di apparire dissacrante rispetto alle “sacre scritture solo teoriche” vi suggerisco inoltre di non tenere il diffusore alla stessa distanza dal soffitto e dal pavimento. Il motivo è semplice: ponendo il diffusore esattamente al centro tra soffitto e pavimento otteniamo che le due riflessioni, percorrendo distanze simili, si sommano, risultando quindi più difficili da analizzare. Abbassando il diffusore rispetto al centro geometrico tra parete e soffitto si ottengono due impulsi con una differenza tra i due percorsi. Quella del soffitto ovviamente, dovendo percorrere una distanza maggiore, arriva in ritardo ad essere acquisita venendo quindi maggiormente attenuata dalla finestra di pesatura. La riflessione del pavimento può essere fortemente attenuata da un pannello di resina melamminica bugnato (cioè con gli spicchi). Al di sotto del pannello è utile aggiungere uno strato di feltro anche di media densità. Tra doppia finestratura, pannello di resina melamminica distanziato di una decina di centimetri dal soffitto, con un secondo pannello posto sul pavimento e posizionamento in diagonale del sistema diffusore-microfono si guadagnano parecchi preziosissimi millisecondi, estendendo così la risposta in gamma bassa a circa 80-90 Hz con una precisione molto elevata.
Campo vicino e campo lontano
Sulla risposta in near field (campo vicino) hanno scritto praticamente tutti, ma ciononostante continuo a notare come questa misura sia bellamente evitata da quasi tutti quelli che misurano diffusori. I pochi “famosi” della stampa estera che eseguono anche il near field regolarmente sbagliano sia le pendenze che, conseguentemente, lo smorzamento. “La misura perfetta non esiste” recita un adagio in voga tra i tecnici, ma sono sicuro che con qualche prova e la fida calcolatrice a portata di mano risulterà facile avvicinarsi quanto più possibile ad un risultato ineccepibile. Prendiamo, come tutti, un esempio facile facile: quello di un piccolo diffusore caricato in sospensione pneumatica costruito ovviamente da noi stessi. Sappiamo quindi perfettamente quanto vale la frequenza di risonanza di un sistema in cassa chiusa Fc, e con lo stesso metodo della misura dei parametri di un altoparlante possiamo anche verificare il Qtc reale, ovvero il fattore di merito totale in cassa chiusa. Queste due grandezze rappresentano tutto ciò che ci serve per simulare un filtro passa alto del secondo ordine che può essere calcolato con la formula:
Risposta filtro (dB) = -20 x Log [(1/w)^4 + (a^2-2)/w^2 +1]^ 1/2
Dove W vale F/Fc, con F la generica frequenza a cui vogliamo calcolare la risposta, Fc è la frequenza di risonanza del diffusore, a vale 1/Qtc e l’elevazione ad ½ equivale alla radice quadrata. Si potrebbe anche sostituire 20 con 10 ed eliminare la radice quadrata.
Il passo successivo sarà quello di misurare la risposta in near field per distanze variabili da qualche millimetro a circa mezzo diametro fino ad ottenere una risposta con le stesse caratteristiche della simulazione, anche se a pressioni diverse, visto che la formula vista prima arriva al massimo a 0 dB. Ovviamente la distanza ottimale va sempre messa in relazione alla circonferenza del woofer misurato. Vi faccio notare che scegliendo una distanza di qualche millimetro ci ritroviamo anche con un discreto andamento passa basso della risposta, tanto più marcato quanto maggiore è la circonferenza del woofer, un problema aggirabile applicando la funzione di trasferimento inversa di quella suggerita da D.B.Keele in un famoso articolo pubblicato sull’AES, così come feci io “millemila” anni fa. Allontanando il microfono dal woofer l’effetto passa-basso si riduce, ma inizia a fare la sua comparsa il rumore. Ecco allora che occorre mediare, ed in questo caso solo l’esperienza di tante misure fatte e la comparazione con le simulazioni può venirvi in aiuto.
Come gestire l'accordo reflex
L’esempio meno facile è quello che vi illustrerò con un bass reflex, di dimensioni non proprio contenute. Qui le cose si fanno più difficili, ma vanno altrettanto spiegate con estrema chiarezza. Partiamo da un discreto woofer di diametro D, caricato in bass reflex ad Fb (frequenza di accordo di un sistema reflex) in un volume notevole, diciamo circa 70 litri. Il diametro del condotto di accordo, accuratamente calcolato dal progettista, sarà Dp, posizionato posteriormente a circa 80 cm di distanza dal woofer. Vi ricordo che la frequenza di accordo è quella che vede in risonanza il condotto, una induttanza quasi ideale, ed il volume, un condensatore quasi ideale. Il woofer e le sue caratteristiche non c’entrano nulla ai fini della risonanza anche se ovviamente possono snaturare fortemente la curva di risposta totale. Il caso reale ovviamente contempla anche le perdite. E qui ci giochiamo gran parte delle certezze acquisite e della precisione della misura.
La pratica attuale seguita da molti vuole che il rapporto tra la pressione emessa dal woofer e quella emessa dal condotto debba essere uguagliata a bassa frequenza, diciamo all’inizio della misura. La cosa è possibile sia utilizzando due microfoni ed un mixer dotato di attenuatore che con due singole acquisizioni salvate sul computer. Secondo questo metodo che definirei…molto veloce, basta eguagliare a 20 Hz le due emissioni prima di sommarle ed ottenere la risposta in near field di un bass reflex. Bene, la precisione o meno di questa misura dipende sia dalle perdite interne del mobile che da quelle del condotto, che va a sommarsi alla perdita di pressione dovuta alla distanza del condotto dal woofer, che, ricordatevelo, è l’unico componente attivo del sistema. Nelle simulazioni oltretutto difficilmente si riesce a quantificare la distanza e la relativa attenuazione, chiamata genericamente “attenuazione di tratta”. L’errore di emissione del condotto, e quindi della risposta totale, nei casi più clamorosi casi può superare facilmente il decibel, con l’accordo che presenta una discreta attenuazione dovuta a quest’errore.
Vediamo adesso il metodo più complesso come operare. Nella figura qui in alto possiamo vedere una simulazione secondo un modello abbastanza sofisticato della pressione emessa sia dal woofer che dal condotto. Notiamo come a 20 Hz la differenza tra le due pressioni valga 1,93 dB. Eguagliando le due pressioni si commetterebbe allora un errore che penalizza il condotto di questa non piccola differenza. Eguagliando le pressioni ad una frequenza Fb/10 la differenza tra le pressioni si riduce a qualche decimale, a patto che il rumore non sia riuscito ad entrare nella misura. Effettuando con la nostra scheda di acquisizione due misure separate si può notare che la pressione emessa dal condotto, col microfono posizionato con una certa precisione al centro, ove il flusso d’aria è massimo, è molto maggiore di quella del woofer. La teoria suggerita è quella che vuole l’emissione del condotto attenuata di:
Attenuazione condotto = 20 x Log (D/Dp)
Tipicamente, ed a ragione, dopo aver effettuato questa attenuazione “matematica” vediamo che a 20 Hz le due emissioni che col primo metodo erano uguali, non coincidono più, con quella del condotto leggermente diversa da quella del woofer. Il “leggermente” è dovuto a tutte le perdite concentrate nella pressione emessa dal woofer e dal condotto.
Ora, una volta effettuata la somma delle due emissioni potremo notare che anche la pendenza si mantiene vicina ai 24 dB per ottava, senza variazioni strane. Alla fine, come abbiamo visto, si effettua il montaggio di campo vicino e campo lontano, il cosiddetto “Splice” che taglia i due grafici alla frequenza scelta per la giunzione, abbassa il livello del near field e si giuntano i due grafici. Nella figura qui in alto possiamo vedere una misura finita, invisibilmente giuntata a circa 90 Hz di un diffusore a 3 vie alto circa 120 cm. La misura è stata eseguita in un ambiente mediamente contenuto con un front-end microfonico composto dall’immancabile B&K 4133 polarizzato dal B&K 2807 ed inviato direttamente a MLSSA. Insomma la dotazione “standard” per i test di AV Magazine.
Camera anecoica vs. GPM Lab
Infine eccoci ad una misura comparativa con i diffusori Dayton B652 Air: il test è a questo indirizzo e l'approfondimento con il nuovo filtro e il modding è in questo articolo. La prima misura (il grafico subito qui in basso) è stata effettuata nel mio laboratorio in regime anecoico simulato con il mio personale setup;
la seconda (subito qui in basso) è stata rilevata nella enorme camera anecoica di Ferrara in configurazione anecoica completa su un diffusore di costruzione più recente ed effettuata da Andrea Farnetani con microfono PCB in classe 1 e la scheda CLIO di ultima generazione.
Come possiamo vedere dalle due misure, al di alcune differenze in gamma media e alta relative alla tolleranza tra altoparlanti estremamente economici provenienti da lotti differenti, si tratta praticamente dello stesso grafico con la stessa pendenza in gamma bassa, a dimostrazione della sostanziale uguaglianza tra la risposta effettuata in camera anecoica e quella ben eseguita in un normale ambiente casalingo.
Per gli approfondimenti, vi suggerisco di dare un'occhiata alla guida sull'introduzione alle misure per poi proseguire con i nostri benchmark, con i quattro gradini delle prestazioni e poi con il nostro test sull'articolazione.
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Commenti (1)
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Grazie, come sempre chiarissimo.
Ho costruito una cassa tower alcuni anni fa di cui sono abbastanza soddisfatto. Doppio Seas da 8 in un[U] volume unico[/U] di circa 60 litri ed una tromba 18 Sound.
Il carico dei due woofer prevede due condotti, uno frontale posizionato appena sotto il woofer inferiore, ed uno posteriore posizionato [U]tra i due woofer[/U], o meglio, tra i due magneti.
L'anomalia nelle misure NF che mi ritrovo, è che mentre il [U]condotto anteriore mi da la classica campana[/U] che sale e scende, il condotto posteriore risulta più come una sella che rimane con spl stabile tra i 30 ed i 60Hz. La ragione potrebbe essere un errore di costruzione o di misura? Il volume ha 5cm di assorbente sulla parete posteriore, di 3 sui lati e in basso è presente una struttura a croce a 10cm dal fondo, per sorreggere 20cm di assorbente per smorzare completamente la stazionaria alto-basso. Dai test fatti ha più effetto che 20cm direttamente sul fondo. Allego un pezzo di misurazione fatto con strumenti amatoriali: Mic Usb Dayton e REW.
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