Fino all'ultimo indizio | la recensione
Denzel Washington si muove tra sicurezza, ossessione e paura, preda di un diabolico Jared Leto. Il film di John Lee Hancock, che ha avuto una lunga gestazione, ha una grande fascinazione che non culmina, come avrebbe dovuto, in un finale coerente col resto della pellicola
Ottobre 1990. Il vice sceriffo Joe Deacon della contea di Kern viene inviato a Los Angeles, nel dipartimento in cui lavorava anni prima, per raccogliere prove riguardanti un omicidio avvenuto di recente. Il nuovo detective Jim Baxter, inizialmente scostante, viene a sapere che Deacon aveva indagato su un serial killer che ha lo stesso modus operandi di quello che sta mietendo nuove vittime nella metropoli. Decide quindi di avvalersi della sua esperienza e farsi aiutare nelle indagini. Sulle tracce dell’inquietante sospetto Albert Sparma, iniziano un percorso che risveglia il drammatico passato di Deacon che rischia di diventare il presente del più giovane collega.
Scritto dal regista John Lee Hancock nel 1992, Fino all'ultimo indizio, in originale The little things, le piccole cose, ha attraversato diverse fasi produttive. Per la direzione si era pensato a Steven Spielberg che però ritenne lo script eccessivamente cupo. Si passò quindi a Clint Eastwood, Warren Beatty e Danny DeVito, fin quando Hancock non decise di dirigerlo lui stesso.
La prima cosa che salta all’occhio guardando il film è lo stile asciutto, il ritmo lento e al contempo denso di suggestioni, un cinema in cui si lasciano momenti e spazi allo spettatore, quasi a farlo diventare investigatore aggiunto sullo schermo. Il desiderio che scatta automaticamente è proprio quello di interrompere la visione in streaming e correre in sala a vederlo. Denzel Washington si muove sulla scena dando respiro agli interrogativi che vengono sollevati, esattamente come il suo Deke si muove nella città degli angeli con la sicurezza di chi quelle strade le ha conosciute fin troppo in profondità e l’esasperazione del bisogno di scoprire chi abbia commesso quegli orribili delitti. Con la paura di non riuscirci neanche la seconda volta. Sebbene la trama faccia venire subito alla mente Zodiac, non siamo da quelle parti. Eppure qualcosa di Fincher risuona forte.
Albert Sparma è all’apparenza un balordo psicopatico che però è in grado di prendersi gioco della polizia con la strafottenza e l’arguzia del Jon Doe di un magistrale Kevin Spacey in Seven, realizzato peraltro nel 1995, tre anni dopo la scrittura di questa sceneggiatura. Non è un caso se Jared Leto - già premio Oscar per Dallas Buyers Club - si è aggiudicato la candidatura ai Golden Globe. La sua interpretazione è provocatoria e disturbante, mettendo in secondo piano gli altri protagonisti così come il suo personaggio si prende gioco di quelli da loro interpretati. Rami Malek, la cui carriera sta correndo troppo veloce per dargli il tempo per una giusta maturazione, è invece un pesce fuor d’acqua per metà della sua prova. Il che non è del tutto uno svantaggio per il film perché è in parte quello che il sergente Baxter deve esprimere nella storia, un mix di arroganza e impreparazione.
Sono le piccole cose che ti distruggono. Sono loro quelle per cui ti beccano.
Quanto può essere profonda l’ossessione per la verità? E fin dove può spingersi? Le domande che dirigono la storia sono diverse e di molteplice interpretazione, per il modo raffinato in cui vengono espresse e per come si arriva alle relative risposte. E per la maggior parte delle oltre due ore di svolgimento, la fascinazione verso il raggiungimento della soluzione è di rara bellezza. Ma quando la matassa viene drammaticamente dipanata ci si pone di fronte a un problema fondamentale che racchiude l’intero senso del film. Viene mostrata un’indulgenza priva della minima critica nei confronti di chi ha commesso un sopruso abominevole.
Perfino la musica sottolinea con dolcezza i passaggi finali in cui sarebbe stato più che opportuno quantomeno un giudizio pesante di tutto il sistema coinvolto. Ed è un errore imperdonabile perché tradisce le premesse di un film che avrebbe potuto dare voce a tanti silenzi che paradossalmente ancora echeggiano nella memoria collettiva e che, per la loro fragilità, rischiano di essere messi da parte troppo in fretta. I personaggi che avrebbero potuto ambire a uno spessore ben più alto restano imbrigliati nella mancanza di espiazione, solo la singola coscienza è ritenuta portatrice di un giudizio, che per questo risulta decisamente parziale. Un vero peccato che diminuisce una potenziale denuncia a un mero esercizio stilistico, in cui un certo compiacimento e una insana accondiscendenza viziano l’esito finale. Con la conseguenza di lasciare solo tanto amaro in bocca.
VALUTAZIONI
Regia 7 Sceneggiatura senza voto Recitazione 7
Fotografia 7,5 Musiche 7
Film senza voto
Fino all'ultimo indizio (The little things)
drammatico, thriller | USA | 2021 | 128 min
regia John Lee Hancock sceneggiatura John Lee Hancock fotografia John Schwartzman musiche Thomas Newman
personaggi interpreti
vice sceriffo Joe "Deke" Deacon Denzel Washington
sergente Jim Baxter Rami Malek
Albert Sparma Jared Leto
detective Jamie Estrada Natalie Morales
capitano Farris Terry Kinney
Sal Rizoli Chris Bauer
Marsha Judith Scott
Rogers Joris Jarsky
Ana Baxter Isabel Arraiza
Flo Dunigan Michael Hyatt
Tina Salvatore Sofia Vassilieva
detective Dennis Williams Jason James Richter
Greg Alberts Adam J. Harrington
Henderson John Kim
critica IMDB 6,3 /10 | Cinematografo 3 /5 | Rotten Tomatoes 5,5 /10 | Metacritic 54 /100
incassi cinema $ | 25,3 MLN (budget 30 MLN)
camera Panavision Millennium DXL2, Panavision Primo 70 and Sphero 65 Lenses - Red Weapon 8K VV Monstro, Panavision Primo 70 and Sphero 65 Lenses
formato D-Cinema
aspect ratio 2,39 : 1
formato audio Dolby Surround 7.1 - Dolby Digital - Dolby Atmos
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