Disco del mese - giugno 2020
da passione giovanile a riferimento dei miei seminari di musica, la Sinfonia n. 4 di Tchaikovsky mi ha accompagnato in 40 anni di ascolti. La nuova incisione Reference Recording diretta da Honeck, disponibile in SACD e file DSD sino al 256 in due e in cinque canali suona meglio di sempre
La sinfonia n. 4 di Tchaikovsky è una delle pagine in cui le passioni dell’autore vengono portate alla luce con sincerità a tratti persino imbarazzante. Il rischio semmai è quello di trovare esecuzioni drammaticamente sentimentali o, al contrario, austere ed asettiche. Non va bene con questa affascinante pagina di musica russa.
Se mi chiedono quali siano i dieci pezzi sinfonici che amo di più, tra questi c'è proprio la Quarta di Tchaikovsky. Anni fa era ai primissimi posti nella mia classifica personale; oggi la mia percezione musicale, che ancora ne deve fare di strada, le ha messo accanto altri lavori importanti, alcuni magari più raffinati. Tuttavia proprio questa pagina ha contribuito al lancio della mia passione per la musica e la sua corretta riproduzione musicale assieme ad un'altra celebre sinfonia, la monumentale Ottava di Mahler.
Tchaikovsky 4 con Manfred Honeck
Semplicemente la migliore registrazione degli ultimi anni. La Quarta è un mio cavallo di battaglia. Anche senza considerare la qualità della registrazione, questa esecuzione si colloca tra le più convincenti. Passionale ed intensa, raffinata nelle parti più delicate, capace di rendere ogni frase strumentale con prime parti di eccellenza. Quando c'è da spingere Honeck non si tira indietro. Nella stessa serie delle nuove incisioni Reference Recording con l'orchestra di Pittsburg la Sesta di Tchaikovsky e la Quinta di Shostakovich sono state un riferimento nei nostri seminari di musica. Chi ama la passione e l'intensità della musica russa non se le faccia mancare.
Tuttavia questa Quarta fa un ulteriore salto avanti. Le frasi dei corni ricordano la potenza e l'incisività delle lucenti letture di Karajan e Muti negli anni Settanta, il suono penetrante e allo stesso tempo corposo di trombe e tromboni sembrano scaturire da una storica orchestra russa. La avvicino come forza espressiva alla energica lettura di Gergiev e persino a quella storica di Mrawinsky; ed è tutto dire, si ratta di un assoluto riferimento.
In tutto questo si apprezza ancora una volta il lavoro che Manfred Honeck sta facendo da qualche anno con la Pittsburgh Symphony. Austriaco, Honeck ha suonato per diversi nnio nella Filarmonica di Vienna prima di avviarsi alla direzione. Suo fratello Rainer è il primo violino (Konzermeister) dei Wiener Philharmoniker.
Non ci sono mezzi termini: questa registrazione la possiamo apprezzare tutti per timbro, dinamica e autorevole presentazione della scena sonora. S'intende anche nella versione stereo (del resto mi piace raccontare che il due canali è semplicemente un caso particolare di multicanale senza centrale e senza posteriori!). Non mi imbarazza ripetermi: la migliore incisione di questa sinfonia, adatta a tutti i palati e godibile anche per chi pensa che la musica classica sia un genere noioso. La trovate come SACD (ibrido, stereo e multicanale) presso il distributore italiano Sound & Music, oppure la potete estrarre sino al DSD 256 sul sito di Native DSD. A ciascuno il suo formato, visto che esiste anche in 24/192 (ma non ne vedo l'utilità, visto che c'è il DSD).
I musicofili più curiosi sappiano che l'album contiene anche il doppio concerto per clarinetto e fagotto di Jonathan Leshnoff, commissionato proprio da questa orchestra americana per i propri solisti. La registrazione del concerto è del 2019. La sinfonia è invece stata incisa nel maggio del 2016 all'interno della Heinz Hall di Pittsburgh con un set-up principale di cinque microfoni omnidirezionali DPA 4006 in DSD 256 attraverso macchine Pyramix dallo staff tecnico di Soundmirror che negli ultimi anni segue le registrazioni della Reference Recordings.
L'attacco del quarto movimento resterà a lungo un riferimento per la nostra redazione, allo stesso modo del delicato “andantino in modo di canzone” al secondo movimento che si apre con uno struggente assolo dell'oboe e da tratti morbidi degli archi dallo smalto raffinato che riescono ad estrarre il vero timbro dei vostri diffusori.
Se vi è piaciuto questo disco vi segnalo nella stessa collana e con gli stessi interpreti anche la Sesta di Tchaikovsky, una energica Quinta di Shostakovich e la formidabile accoppiata di Quinta e Settima di Beethoven.
Tchaikovsky 4, la “Sinfonia del Fato”
Di facile ascolto, la Quarta è tra le pagine più celebri di Tchaikovsky, composta in un periodo tormentato che l’autore descrive in alcune lettere della sua feconda corrispondenza con la sua mecenate. Il tema del Fato si annuncia sin dalle prime battute, enunciato con drammatica intensità dalla sezione corni a tutta forza, un motivo che abbraccia l’intera sinfonia e che tornerà anche nel movimento finale. E’ lo stesso autore a combattere contro le forze avverse di un destino che non gli è amico. I tratti eroici e spensierati che pure fanno parte del primo tempo vengono soverchiati da questo “Fato”, che sulla forza degli ottoni appare invincibile. Suggestivi i toni consolatori del secondo tempo, enunciati dal sublime assolo dell’oboe e poi ancora il suggestivo ritmo dello Scherzo, nell’andamento in “pizzicato” degli archi a suggellare una delle pagine più autentiche e felicemente ispirate del maestro russo. Nel finale (“Allegro con Fuoco”) i toni sono brillanti ed esteriori, si colgono atmosfere di festa paesana dai toni vivaci, con un carattere “russo” portato in bella evidenza. Ma anche qui, nell’apoteosi del finale, il tema iniziale del “Fato” torna più forte che mai, in un parossismo sonoro in cui l’orchestra è chiamata ad esprimersi al massimo delle possibilità. Ma intanto l’uomo cerca proprio nella gioia degli altri la consolazione momentanea alle proprie pene, e alla fine la Quarta si conclude nei colori brillanti di un’orchestra lanciata a tutta forza. Un tour de force che lascia l'ascoltatore senza fiato.
In queste due ultime stagioni l'ho ascoltata due volte, peraltro in due eccellenti esecuzioni qui all'auditorium di Roma. Prima con Gergiev e l'orchestra del Teatro Mariinsky di San Pietroburgo, all'interno di una preziosa quanto rara esecuzione delle sei sinfonie in tre serate. Grande musica e soprattutto lo smalto autentico di questa formazione, che ha Tchaikovsky nel proprio DNA. Molto bella poi la sorpresa autunnale con la lettura di Sir Antonio Pappano della Quarta con la nostra orchestra di Santa Cecilia. Mi attendevo una buona, anzi buonissima esecuzione, ma sono restato estasiato per averla invece sentita completa, compiuta e coinvolgente. La raffinatezza del gioco dei legni e l'espressione degli archi, la scelta dei tempi, l'incisività delle parti più estroverse mi ha letteralmente incantato. Il finale “Allegro con Fuoco”, appare come un'esplosione di gioia...gioia forse soltanto apparente. “Se non riusciamo a trovare la felicità in noi stessi, cerchiamola al di fuori”. Ecco dunque uno dei passaggi più intensi e anche talvolta aspramente criticati del russo. Qui ci vuole il vero fuoco russo, la passione e l'anima. Altrimenti rischia di apparire il suono sguaiato di una banda di paese. Un rutilante finale, con gli accenti dinamici portati a tutta forza dalla percussione di piatti e grancassa (banale leggendolo così) ha semmai rappresentato la ciliegina sulla torta a coniugare al filo della perfezione l'intenzione musicale del grande russo, l'accecante bagliore di una fiera di paese al culmine i un tormentato percorso in cui l'aspetto biografico e musicale sono quanto mai intrecciati.
La “mia” Quarta, i primi passi di un audiofilo.
A sedici anni, avendo da pochissimo avuto per regalo un impianto “Hi-Fi” (che oggi qualcuno chiamerebbe “vintage”, ma io chiamerei più semplicemente “ciarpame”), proprio la Quarta del grande russo mi ha folgorato. Non tanto per il contenuto musicale, quanto per il tessuto sonoro. Mi spiego meglio. La mia esperienza di musica reale era sino a quel tempo limitata al pianoforte che avevo a casa e al grande organo della chiesa di quartiere (Parrocchia Bambino Gesù per la cronaca, forse l'organo è ancora li). Non ero mai andato ad un concerto prima di ascoltare (quasi per caso direi e neppure ero troppo convinto di accompagnare mia madre) questa sinfonia diretta da Daniel Oren al Teatro dell'Opera di Roma. La mia percezione musicale era più legata al timbro e allo smalto degli strumenti percepiti dal vivo, facevo caso più alla struttura sonora che non alla musica. Coglievo una rappresentazione completamente diversa da quanto ascoltavo con il mio impianto, un coordinato Pioneer al quale soltanto dopo un paio di anni sarei riuscito ad aggiungere una coppia di ESB 100 LD (bah, sempre troppo striduli rispetto alla musica vera). Il timbro degli archi bassi? Non c'eravamo proprio, dal vivo era ben altro. Morbido ed avvolgente, pieno e corposo. Quel suono che avrei poi cercato di ottenere nei successivi 40 anni, con successo via via crescente, in un percorso che ancora non si ferma. Oggi quando mi chiamano a tenere dei seminari di audio c'è ancora la ricerca del suono avvolgente, generoso e vitale che continuo a cogliere dal vivo nelle sale di Roma, di Vienna, di Monaco e di Berlino (ma questa è un'altra storia).
Se andate a sentire una grande orchestra dal vivo capirete facilmente perché. Ho avuto la fortuna che per me la passione per l'alta fedeltà si avviasse assieme alla scoperta della grande musica. Poco per volta, studiando e cercando di capire qualcosa di un mondo sonoro che sino ad allora conoscevo da qualche pubblicità televisiva. L'eccezione era rappresentata dal pianoforte della mia insegnante e più ancora dal senso corposo ed avvolgente delle sonorità del grande organo che strimpellavo nella parrocchia. Ascoltare dal vivo il suono di quegli archi era e rimane un'esperienza ancora lontana da quanto si rende disponibile attraverso un impianto di riproduzione.
Iniziavo anche a cercare registrazioni che suonassero per quanto possibile nel modo migliore, con tutte le limitazioni dinamiche dei vinili di quel periodo (fine anni Settanta). Ora mi rendo conto che il problema del divario tra suoni reali e suoni riprodotti non sta nella dinamica. Molto più spesso risiede nel timbro, cioè nella resa del colore strumentale, che in disco appare troppo spesso esile, privo di corpo e di struttura. Il suono, mai affaticante dal vivo, diventa troppo spesso angusto, puntiglioso e finanche aspro nella riproduzione domestica. Spasmodica si avviava la ricerca del suono che per quanto possibile mi appagasse anche a casa. La scoperta all'epoca delle B&W DM 16 apriva un velo di speranza soprattutto in termini di correttezza timbrica, ascoltate nel mitico negozio romano di Alta Fedeltà Federici. Poco alla volta, comprando e vendendo e ancora comprando sostituivo diffusori su diffusori che forse qualcuno tra i miei dieci lettori può ben comprendere. Il primo momento di respiro è stato con l'arrivo a casa di una coppia di B&W 801 prima serie (usate) iniziando peraltro un'altra odissea in tema di amplificazioni. Subito dopo inizia la mia avventura giornalistica con Audio Review e la possibilità di ascoltare prodotti audio si allarga a dismisura, ma non viene mancare l'ascolto dal vivo. Oggi i miei ascolti si dividono tra impianto di casa, prove di redazione e seminari audio, unitamente ai concerti nelle sale del Parco della Musica di Roma, del Gasteig di Monaco, della Philharmonie di Berlino, del Musikverein di Vienna. Come posso e quando posso, anzi, faccio debiti non per l'auto nuova (che in effetti è vecchia) ma per “viaggiare in e per la musica”.
Buon ascolto
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