Visions of Sound: in Dolby Atmos è tutta un'altra musica

Nicola Zucchini Buriani 10 Giugno 2024 Audio

Abbiamo partecipato all'evento Visions of Sounds, organizzato da Audio Quality presso il punto vendita di San Lazzaro di Savena a Bologna. Abbiamo ascoltato vari brani di musica in Dolby Atmos e siamo rimasti colpiti dall'esperienza offerta. In questo articolo vogliamo raccontarvi le nostre impressioni e spiegarvi perché il Dolby Atmos non è solo home cinema.


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Lo scorso 18 maggio ho partecipato all’evento “Visions of Sound" organizzato da Audio Quality con lo scopo di far conoscere la raccolta di dischi Blu-ray chiamata per l’appunto Visions of Sounds. I dischi di cui si parla non sono film ma musica e concerti live che in alcuni casi offrono anche una traccia video mentre in altri sono semplicemente “Pure Audio”, cioè supporti che contengono solo l’audio.

La particolarità della raccolta Visions of Sound consiste nel formato proposto: sono tutti con audio immersivo, cioè realizzati principalmente con tracce in Dolby Atmos, la cosiddetta tecnologia “a oggetti” capace di posizionare i suoni nell’ambiente con maggiore precisione. Le sessioni di ascolto di tutti i dischi si sono svolte nella sala cinema realizzata presso la nuova sede di Audio Quality a San Lazzaro di Savena, in provincia di Bologna.

 

SOMMARIO

 

LA NUOVA SALA CINEMA DI AUDIO QUALITY


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Prima di parlare dell’esperienza di ascolto dei dischi Visions of Sounds, forniamo un po’ di contesto. La sala cinema di Audio Quality è stata completata di recente dopo il trasferimento del punto vendita nella nuova sede. La sala è sensibilmente più grande della precedente e ospita un sistema Dolby Atmos a 11.4.6 canali così composto:

  • Processore audio StormAudio ISP MK III
  • Finale Aurea Kino4 6K a 4 canali per i frontali e il centrale
  • 2 finali Aurea Kino8 6K a 8 canali per surround e Dolby Atmos
  • Diffusori frontali e centrale Aurea 22
  • 14 diffusori Aurea IW 6+6 v2 per i surround e Dolby Atmos
  • 4 subwoofer attivi JL Audio Fathom f113 v2

 
Francesco Aliotta alle prese con la taratura della sala
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La riproduzione delle immagini è affidata a un proiettore Sony VPL-XW7000ES che proietta su uno schermo fonotrasparente da 4,2 metri di base in formato 21:9. Completano l’allestimento l’arredo acustico di Officina Acustica e le poltrone San Marco. Prima dell’evento tutto il sistema è stato messo a punto da Francesco Aliotta di Audio Quality, che ha eseguito una taratura avvalendosi delle potenzialità messe a disposizione da Dirac ART.

 
Il rack con pre, finali e il processore madVR
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ART è l’acronimo di Active Room Treatment ed è la più recente nonché più evoluta forma di calibrazione acustica sviluppata da Dirac. Dirac ART utilizza i diffusori presenti in ambiente in maniera attiva, in modo da modificare la risposta degli altri diffusori e quella dell'ambiente, riducendo così anche la necessità di trattare la stanza con trattamenti passivi. Il lettore scelto è l'Oppo UDP-203EU, ormai fuori produzione da qualche anno ma sempre molto valido a 360 gradi.

 

LA RACCOLTA VISIONS OF SOUND


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Visions of Sound nasce per portare la musica in una dimensione più coinvolgente. L’origine dei suoni non è collocata solo davanti all’ascoltatore: l’idea di base consiste nel creare una bolla che lo avvolge completamente, ponendolo al centro dell’esperienza. Ovviamente questa linea di principio va poi declinata per i vari generi musicali e in alcuni casi richiede degli aggiustamenti, un punto su cui tornerò nel capitolo sulle sessioni di ascolto.

Visions of Sound privilegia poi la qualità, offrendo la migliore tra quelle disponibili: la scelta dei dischi è perciò la sola possibile perché si tratta degli unici supporti capaci di garantire un’esperienza di questo livello. Dolby Atmos è infatti molto presente anche sui servizi streaming e il motivo lo ha spiegato Christoph Diekmann di Visions of Sound, presente all’evento in veste di co-presentatore insieme a Francesco Aliotta.


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È stata Apple a fare pressioni sulle case discografiche per rilasciare la musica non solo in stereo ma anche in Dolby Atmos, che la casa di Cupertino chiama solitamente “audio spaziale”. Qui si è però creato un problema legato proprio alla qualità dei mix: in molti casi la versione Dolby Atmos è semplicemente un “upmix” dei CD, cioè un segnale stereo “spalmato” su un sistema multi-canale con diffusori posti anche in altezza.

L’ascolto di una playlist Dolby Atmos offre quindi risultati molto altalenanti, con alcuni brani che ad esempio posizionano la batteria su tutti i diffusori, frutto di un mix non realizzato come si dovrebbe. Ci sono poi mix creati appositamente per l’ascolto del Dolby Atmos in cuffia e chiaramente anche in questo caso l’esperienza cambia completamente se la stessa musica viene riprodotta da un sistema multi-canale.


I diffusori Aurea illuminati dai LED dietro le coperture fonotrasparenti
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I dischi Visions of Sound nascono per far sentire cosa si può ottenere da impianti home cinema Dolby Atmos con mix effettuati da studi certificati, quindi con tutte le cure del caso e con a disposizione un sistema a 7.1.4 canali. Diekmann ha spiegato che i modi per sfruttare l’audio a oggetti per la musica sono essenzialmente due: musica dal vivo o registrazione in studio. In entrambi i casi si crea una base per tutta la stanza e si vanno poi a posizionare gli oggetti, cioè suoni ben precisi a cui va data una collocazione spaziale individuale per aumentare il coinvolgimento.

Con la musica dal vivo si va a prendere tutto l’ambiente in cui si trova il pubblico, tutta l’acustica della sala e la si porta dentro le mura di casa. L’alternativa è registrare singolarmente tutte le tracce ricreando poi l’architettura della stanza, cioè come si diffondono i suoni (e gli oggetti) in ambiente.

 

LE SESSIONI DI ASCOLTO


Christoph Diekmann di Visions of Sound (sinistra) e Francesco Aliotta di Audio Quality (destra)
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Per le sessioni di ascolto, della durata di un’ora circa, sono stati utilizzati vari brani. Ne andrò a citare alcuni per descrivere le impressioni che ho maturato per ciascuno. Iniziamo con un Blu-ray video e nello specifico con un brano eseguito dal vivo dai Berliner Philharmoniker, l’Orchestra filarmonica di Berlino diretta in questa occasione da John Williams. Il brano eseguito è “Scherzo for Motorcycle and Orchestra” e fa parte della colonna sonora di “Indiana Jones e l’ultima crociata”. Va sottolineato che la sala concerto della filarmonica è attrezzata per eseguire registrazioni immersive che vengono offerte anche sul servizio streaming Digital Concert Hall, dove sono disponibili varie esecuzioni in Dolby Atmos.

L’esperienza di ascolto inizia prima dell’esecuzione vera e propria: quando John Williams introduce il brano si può già sperimentare il contributo del Dolby Atmos. All’inizio Williams viene inquadrato in primo piano e la sua voce viene diffusa da tutti i diffusori frontali. Quando l’inquadratura si allontana, inquadrando anche l’orchestra con il direttore al centro, ecco che la voce esce solamente dal centrale, in modo da far corrispondere con precisione l’origine dei suoni con le immagini.


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Quando poi parte l’applauso del pubblico è l’intera sala a suonare, coinvolgendo anche i diffusori sul soffitto. L’impressione che ne ricava l’ascoltatore è di trovarsi dentro la sala concerti. La riproduzione della musica evidenzia invece la tendenza a collocare l’ascoltatore non davanti all’orchestra ma in mezzo ad essa. È effettivamente un’esperienza che può sembrare strana perché normalmente ci si aspetta che i suoni provengano dai canali frontali e dai “front wide” posti sui lati ma sempre nella parte anteriore. Nell’esecuzione dei Berliner Philarmoniker ho invece percepito l’orchestra più arretrata, come se mi fossi appunto seduto in mezzo ai musicisti e non davanti a loro.

Lo ha del resto confermato anche lo stesso Diekmann: c’è ancora un po' di lavoro da fare per capire come sfruttare al meglio il Dolby Atmos con la musica dal vivo di questo tipo. Un risultato ideale permetterebbe di ricostruire un palco 3D ben dettagliato davanti all’ascoltatore, aprendo tutta la stanza con gli altri diffusori solo quando anche il pubblico si fa sentire.


Jonh Williams dirige i Berliner Philharmoniker in Scherzo for Motorcycle and Orchestra
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Il secondo brano in scaletta è invece “Free the Dragon” di Schiller, un artista svizzero che compone musica elettronica. Il brano viene eseguito insieme all’Orchestra Synchron Stage Vienna. Con questa descrizione si potrebbe pensare a un’esperienza praticamente identica alla precedente ma in realtà il risultato è ben diverso. Per l’artista non è importante un posizionamento preciso di tutti gli strumenti: l’obiettivo è quello di creare un piano sonoro generale che immerga l’ascoltatore ponendolo al centro dell’esperienza. L’orchestra si fonde con i suoni generati da Schiller: questa combinazione porta chi la sperimenta a “fare un bagno” nella musica dell’artista.

Gli strumenti circondano effettivamente il punto di ascolto provenendo da varie direzioni, così come gli effetti aggiunti dalla musica elettronica. Proprio per questo motivo non c’è nessuna sensazione di smarrimento. A differenza dell’esecuzione eseguita dai Berliner Philarmoniker, qui non si deve immaginare uno spettatore che assiste ad un concerto, seduto davanti all’orchestra. Per Schiller l’ascoltatore è al centro della sala e l’essere circondati dai suoni è un effetto voluto.


Free the Dragon di Schiller
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Il terzo brano proposto è “Forty Days and Forty Nights”, tratto dall’album “Tuvayhun - Beatitudes for a Wounded World” di Kim André Arnesen. La particolarità di questo pezzo consiste nel luogo in cui è stato registrato, cioè una chiesa, un ambiente molto complicato per la diffusione della musica, a causa delle pareti in pietra che impattano negativamente sulla precisione del suono. Il disco è un Pure Audio, quindi senza una traccia video, si usano i tasti colorati per scegliere il formato audio: rosso per il DTS-HD 5.1, giallo per il PCM stereo, verde per il Dolby Atmos e blu per Auro-3D.

L’ascolto restituisce un effetto chiaro e preciso grazie al metodo usato per la registrazione. Le voci del coro sono state catturate usando un cubo di microfoni, una soluzione che cala l'ascoltatore dentro il coro stesso. C’è poi un microfono dedicato a ciascuno degli strumenti: in questo modo si può realizzare un mix trasparente dell’orchestra. A completare l’opera sono altri microfoni installati in punti specifici della chiesa, utili per migliorare l’atmosfera generale e a realizzare quella bolla sonora che avvolge l’ascoltatore.


Forty Days and Forty Nights di Kim André Arnesen
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Il pezzo successivo è quello che mi ha colpito più di tutti: si tratta di "Basic Avenue“, tratto dall’album “Point” del duo svizzero Yello, fondato a Zurigo nel 1979 e da sempre impegnato sul fronte della musica elettronica. A differenza di Schiller qui non c’è una parte strumentale registrata dal vivo. Il Dolby Atmos diventa pertanto uno strumento utile per “dipingere” la musica usando una tela molto più ampia di quella offerta con una semplice riproduzione in stereo.

La tela non è solo il fronte ma tutta la stanza: quando si crea il mix si possono prendere i suoni e posizionarli dove lo si desidera, in modo da definire un’esperienza di ascolto completamente nuova. Anche il brano successivo si basa su principi in parte sovrapponibili: l’album di Peter GabrielI/O” è stato realizzato anche con un mix in Dolby Atmos e un disco Pure Audio, quindi senza traccia video. Ascoltando il pezzo “Olive Tree” si nota come alcuni strumenti vengono posizionati nello spazio per immergere l’ascoltatore all’interno di un suono avvolgente.


Basic Avenue degli Yello
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La differenza rispetto al lavoro degli Yello consiste nel fatto che nel disco di Peter Gabriel un fronte sonoro c’è: la batteria è ad esempio sempre davanti mentre le percussioni e altri suoni sono collocati nella sala di ascolto. Di nuovo torna l’idea di far sentire l’ascoltatore dentro la musica a 360 gradi, un punto che accomuna tante delle nuove produzioni. Il Dolby Atmos non è però appannaggio esclusivo delle produzioni recenti ma si può usare anche su vere e proprie pietre miliari.

A dimostrarlo è “The Dark Side of the Moon” dei Pink Floyd, uscito lo scorso anno con un nuovo mix basato sulle tracce analogiche registrate ai tempi. Il brano che ho ascoltato non ha bisogno di presentazioni: è “Time” del 1973, riproposto nella nuova veste in occasione del cinquantesimo anniversario. La maggior parte dei suoni sono collocati davanti all’ascoltatore, come ad esempio la batteria mentre le chitarre arrivano anche a coprire i font wide per ampliare l’esperienza.


Olive Tree di Peter Gabriel
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Solo alcuni suoni si aprono al resto della stanza, come il ticchettio degli orologi che si sente all’inizio. Non è chiaramente un ascolto “immersivo” come quello offerto da altri brani più recenti ma dimostra che anche sulla musica tutt’altro che recente si può lavorare bene.

A chiudere la sessione di ascolto è il concerto live dei Mumford & Sons,“Live from South Africa: Dust and Thunder”, con il brano “Believe” eseguito all’interno di un anfiteatro in Sud Africa. In questo caso la difficoltà consiste nel riuscire a registrare con precisione il suono senza eco. Il risultato è ottimo e infatti questo è il disco che più mi hai impressionato dopo quello degli Yello. Il gruppo è posizionato correttamente davanti mentre l’ascoltatore è letteralmente dentro il pubblico che canta insieme ai Mumford & Sons. Ci sono quindi tutta la parte strumentale e le voci sul frontale mentre i cori si aprono per ricostruire tutta l’arena.

 

CONCLUSIONI


Time dei Pink Foyd
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Ammetto di essere sempre stato piuttosto scettico sull’efficacia della musica in Dolby Atmos: i brani con audio spaziale che avevo ascoltato, insieme ad alcuni concerti, non mi avevano convinto particolarmente. Sui secondi ho sempre avuto la stessa impressione che ho riportato per l’esecuzione dei Berliner Philarmoniker condotti da Jonh Williams: l’ascolto lascia spaesati perché non replica l’esperienza che si avrebbe di persona.

Ascoltare musica in mezzo all’orchestra e non davanti ad essa è sicuramente qualcosa di diverso ma non necessariamente migliore. Da questo punto di vista i mix devono sicuramente migliorare ancora per poter offrire un risultato ottimale.

Le mie riserve sono però venute meno con gli altri brani, in special modo con quello degli Yello e con il concerto dei Mumford & Sons. Qui davvero il Dolby Atmos cambia completamente l’esperienza: la musica elettronica acquisisce una dimensione che la semplice traccia in stereo non può assolutamente replicare.


Believe dei Mumford & Sons
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Per il concerto vale un discorso simile ma in chiave leggermente minore dato che l’esibizione del gruppo non cambia drasticamente: quello che si aggiunge è l’essere circondati dal pubblico che canta, con il suono che avvolge completamente l’ascoltatore da dietro, dai lati e anche da sopra.

Per gli altri brani vale quanto scritto nel capitolo precedente: mi hanno impressionato un po’ meno dei due citati qui sopra ma li ho comunque apprezzati molto. Per riassumere non posso che consigliare a tutti di provare un’esperienza simile spaziando su più generi, che vi piacciano o meno vale la pena sentirli almeno una volta. Sotto vari punti di vista sono dimostrazioni perfette delle potenzialità che i sistemi home cinema Dolby Atmos sono in grado di offrire, anche più di tanti film, dove il contributo di tutti i diffusori e la ricostruzione della bolla sonora si avvertono decisamente meno.

Per maggiori informazioni: www.audioquality.it

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