Firestart
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Immagino che arriverà la recensione ufficiale, ma visto che nessuno ne parla al di là degli ovvi consigli sulle sale dove vederlo e non vederlo, io butto giù le mie impressioni...
La prima e più importante questione che un po' tutti si sono posti, in una forma o nell'altra, è "ma c'era davvero bisogno di un sequel?". Secondo me è una domanda sbagliata, nessun film è necessario, e al tempo stesso qualsiasi film lo è. Spostando la questione tra "necessario" ed "opportuno", il discorso cambia di molto. Ma per questo devo prenderla larga e parlare prima di tutto dell'originale.
L'originale, contrariamente a quello che ripetono come un mantra troppe persone, non è affatto il capolavoro di Ridley Scott. Prima di essere lapidato, spiego: Blade Runner è un capolavoro, ma è un capolavoro che nasce dal lavoro combinato di una quantità di eccellenze che, ciascuno nel proprio campo, hanno contribuito a creare un'alchimia forse irripetibile.
Per questo sequel l'intuizione è stata giusta: raccogliere le eccellenze che Hollywood è in grado di offrire oggi, e metterle a servizio di uno dei registi più capaci di questa generazione.
Il risultato di questo sforzo si vede fin dalla prima sequenza, in cui il production design, la fotografia e la colonna sonora si coniugano alla perfezione per mostrare "qualcosa di più" di quello che probabilmente ci aspettavamo. Non più (non solo) Los Angeles, metropoli costantemente avvolta dalla pioggia e dall'oscurità, ma una immensa distesa coperta di nebbia. E' solo la prima delle innumerevoli bellissime suggestioni visive che il film ci regalerà nelle sue quasi 3 ore di durata.
Il problema, e non è un problema da poco, è che Villeneuve pare aver trascurato l'aspetto forse meno "appariscente" che ha contribuito a far diventare Blade Runner quello che è: la sua capacità, quasi magica, di essere completamente fuori dal tempo. Una storia, raccontata negli anni '80, che parla di un mondo che vedremo 40 anni dopo ma lo fa con la grammatica dei film di 40 anni prima.
Villeneuve prova a imitarne il ritmo, in parte ci riesce (i 160 minuti di film si sentono tutti), ma fallisce nel tentativo di carpirne l'anima, e questo si vede soprattutto nel modo in cui dipinge i "villain" del film; al posto di Tyrell, personaggio descritto tutto per sottrazione, ci ritroviamo il Wallace di Jared Leto e il suo parlarsi addosso; al posto di Roy Batty, con la sua capacità di essere al tempo stesso terrificante e malinconico ma anche sorprendentemente infantile (il personaggio ha solo 4 anni di vita, e lo comunica in ogni espressione di Hauer), ci ritroviamo una terminator al femminile con smanie di competizione; al posto di una trama semplice e diretta, ma stratificata e con tantissimi livelli di lettura, ci ritroviamo con una lunga e inutile digressione su una ribellione dei replicanti, ed un unico livello di lettura.
C'era bisogno di questo sequel? Alla fine, male non fa. L'originale è sempre lì, nessuno l'ha toccato (se non Scott stesso nei suoi infiniti rimaneggiamenti). Questo film è un'altra cosa, probabilmente il miglior sequel possibile, ma tutto fuorchè il film perfetto che tante recensioni americane volevano venderci.
Il film merita di essere visto al cinema, nel miglior cinema possibile, fosse anche soltanto per un paio di sequenze molto belle e una terza completamente fuori scala in cui per un attimo la potenza del production design, della fotografia e della colonna sonora ti inchiodano alla poltroncina del cinema e ti fanno dimenticare che per le due ore e mezzo precedenti ti sei un po' annoiato.
Poteva andare peggio, poteva dirigerlo Scott.
Chiunque abbia detto che questo è "il film dell'anno", era chiaramente distratto mentre proiettavano Dunkirk.
La prima e più importante questione che un po' tutti si sono posti, in una forma o nell'altra, è "ma c'era davvero bisogno di un sequel?". Secondo me è una domanda sbagliata, nessun film è necessario, e al tempo stesso qualsiasi film lo è. Spostando la questione tra "necessario" ed "opportuno", il discorso cambia di molto. Ma per questo devo prenderla larga e parlare prima di tutto dell'originale.
L'originale, contrariamente a quello che ripetono come un mantra troppe persone, non è affatto il capolavoro di Ridley Scott. Prima di essere lapidato, spiego: Blade Runner è un capolavoro, ma è un capolavoro che nasce dal lavoro combinato di una quantità di eccellenze che, ciascuno nel proprio campo, hanno contribuito a creare un'alchimia forse irripetibile.
Per questo sequel l'intuizione è stata giusta: raccogliere le eccellenze che Hollywood è in grado di offrire oggi, e metterle a servizio di uno dei registi più capaci di questa generazione.
Il risultato di questo sforzo si vede fin dalla prima sequenza, in cui il production design, la fotografia e la colonna sonora si coniugano alla perfezione per mostrare "qualcosa di più" di quello che probabilmente ci aspettavamo. Non più (non solo) Los Angeles, metropoli costantemente avvolta dalla pioggia e dall'oscurità, ma una immensa distesa coperta di nebbia. E' solo la prima delle innumerevoli bellissime suggestioni visive che il film ci regalerà nelle sue quasi 3 ore di durata.
Il problema, e non è un problema da poco, è che Villeneuve pare aver trascurato l'aspetto forse meno "appariscente" che ha contribuito a far diventare Blade Runner quello che è: la sua capacità, quasi magica, di essere completamente fuori dal tempo. Una storia, raccontata negli anni '80, che parla di un mondo che vedremo 40 anni dopo ma lo fa con la grammatica dei film di 40 anni prima.
Villeneuve prova a imitarne il ritmo, in parte ci riesce (i 160 minuti di film si sentono tutti), ma fallisce nel tentativo di carpirne l'anima, e questo si vede soprattutto nel modo in cui dipinge i "villain" del film; al posto di Tyrell, personaggio descritto tutto per sottrazione, ci ritroviamo il Wallace di Jared Leto e il suo parlarsi addosso; al posto di Roy Batty, con la sua capacità di essere al tempo stesso terrificante e malinconico ma anche sorprendentemente infantile (il personaggio ha solo 4 anni di vita, e lo comunica in ogni espressione di Hauer), ci ritroviamo una terminator al femminile con smanie di competizione; al posto di una trama semplice e diretta, ma stratificata e con tantissimi livelli di lettura, ci ritroviamo con una lunga e inutile digressione su una ribellione dei replicanti, ed un unico livello di lettura.
C'era bisogno di questo sequel? Alla fine, male non fa. L'originale è sempre lì, nessuno l'ha toccato (se non Scott stesso nei suoi infiniti rimaneggiamenti). Questo film è un'altra cosa, probabilmente il miglior sequel possibile, ma tutto fuorchè il film perfetto che tante recensioni americane volevano venderci.
Il film merita di essere visto al cinema, nel miglior cinema possibile, fosse anche soltanto per un paio di sequenze molto belle e una terza completamente fuori scala in cui per un attimo la potenza del production design, della fotografia e della colonna sonora ti inchiodano alla poltroncina del cinema e ti fanno dimenticare che per le due ore e mezzo precedenti ti sei un po' annoiato.
Poteva andare peggio, poteva dirigerlo Scott.
Chiunque abbia detto che questo è "il film dell'anno", era chiaramente distratto mentre proiettavano Dunkirk.