Skyfall
L'agente 007 torna sul grande schermo per festeggiare il cinquantesimo anniversario della serie più longeva della storia del cinema. Con Skyfall siamo a quota 23 film, con Daniel Craig ancora nei panni di James Bond dopo i precedenti Casino Royale e Quantum of Solace
Il giudizio artistico di Marco Benedetti
James Bond, l’agente 007, compie 50 anni di vita cinematografica e la ricorrenza sembra aver influenzato forse un po’ troppo i produttori, con una attenzione quasi ossessiva alle strizzatine d’occhio ai fan irriducibili, a discapito dell’escalation spettacolare che da sempre caratterizza i film della serie. Se vogliamo, uno 007 più introspettivo e meno glamour, anche rispetto ai due episodi precedenti del nuovo corso inaugurato con Casino Royale, forse figlio di questi tempi di crisi; del resto i film di James Bond sono sempre stati un fedele specchio della loro epoca; a ricordarci esplicitamente il periodo difficile è la misera dotazione di gadget fornito da Q, che torna dopo 2 film di assenza con un nuovo interprete, un nerd che sembra fotocopiato dal giovane Bill Gates; il periodo di crisi è sottolineato anche dall’atmosfera generale, con M e lo stesso MI6 messi in discussione dal governo; ma l’aspetto più evidente è che gli agenti segreti di Skyfall assomigliano più alle spie stanche e disilluse di Len Deighton che a quelle tutte di un pezzo di Ian Fleming.
Su questa linea le interpretazioni dei protagonisti: Daniel Craig aveva già fatto proprio il personaggio nei primi due film, spazzando via le iniziali critiche preconcette - James Blond, un James Bond biondo, anatema! - con una recitazione intensa che aveva riavvicinato il suo Bond a quello originale di Fleming, in questo terzo episodio la sua recitazione è forse più piatta e monocorde rispetto a Casino Royale, ma il suo possesso del ruolo è ormai indiscutibile. Judi Dench nel ruolo di M è la vera protagonista del film. La sua interpretazione superlativa riesce mirabilmente a mostrare le contraddizioni del suo ruolo, che le impone di essere fredda e spietata, e la sua fragilità di donna e di persona avanti con gli anni. Diciamo pure che fra le anomalie rispetto agli stilemi tradizionali della serie c’è il suo personaggio molto più centrale del solito. Se vogliamo, il filo conduttore del film è il suo rapporto madre-figlio con Bond e in genere gli agenti doppio zero, diciamo pure che M è la vera bond-girl di Skyfall, anche per la mancanza di un altro ruolo femminile adeguatamente sviluppato. Javier Bardem è un cattivo assolutamente credibile, ancorché più umano e tormentato rispetto ai precedenti; tormento interiore espresso con la pura recitazione in maniera ineccepibile.
L’inizio, il minifilm che tradizionalmente precede i titoli di testa, è molto promettente, con trovate originali che fanno pregustare la solita apoteosi di colpi di scena, promesse non mantenute dal film vero e proprio, anche a causa della sceneggiatura, che si riduce a una serie di inseguimenti a ruoli alterni fra buoni e cattivi, con spunti interessanti non sviluppati adeguatamente, verrebbe da dire sacrificati al ritmo incalzante del montaggio. Intendiamoci, la confezione è come al solito impeccabile e non si può neanche dire che manchino le scene spettacolari, ma si rimane con l’impressione che i soldi per gli effetti speciali siano stati spesi male, per esempio la scena in cui un treno della metropolitana viene fatto precipitare in una galleria sottostante non è abbastanza spettacolare e non riesce a stupirmi a sufficienza; dopo aver affondato un palazzo sul Canal Grande francamente mi aspettavo qualcosa di più.
Di fatto il colpo di scena strappa applausi, la trovata a cui immancabilmente segue il tema di James Bond sparato a tutto volume, è una scena statica e minimalista, quasi intimistica, sicuramente nostalgica, con l’entrata in scena della mitica Aston-Martin DB5, accolta in sala da un timido applauso, immagino a cura di ultracinquantenni come il sottoscritto, che la ricordano come un’icona della propria fanciullezza. La scena è preparata in modo che il bondiano della prima ora lo sappia, capisca qualche secondo prima, che dietro quella porta di garage non ci può essere che l’Aston-Martin; anche la scena successiva, l’unico intermezzo vagamente comico del film, quando M sta dando il pilotto a Bond e viene inquadrato il pulsante di espulsione del passeggero nascosto nel pomello del cambio, è a beneficio degli irriducibili che Missione Goldfinger lo conoscono a memoria.
Questi particolari ci danno forse una chiave di lettura di Skyfall: i film di James Bond seguono tradizionalmente un canovaccio che ha fatto la fortuna della serie e che, seppur con qualche variante, ritroviamo anche nel nuovo corso; abbiamo la mini avventura introduttiva, l’alternarsi delle varie bond-girl, uno o più intermezzi comici, il cattivo che a un certo punto ha in pugno 007 ma non ne approfitta, il citato colpo di scena seguito dal tema di James Bond, l’apoteosi finale in cui il nostro eroe salva il mondo a un nanosecondo dalla fine e il secondo finale, col tentativo non riuscito di vendetta da parte del cattivo superstite, e vai col bacio all’ultima bond-girl. Il problema, semmai, è inventare nuove trovate che riescano a stupire lo spettatore: un film di 007 di successo deve andare oltre i limiti stabiliti col precedente.
Ecco, Skyfall sembra pensato per stupire l’appassionato irriducibile proprio togliendogli quelle sicurezze fornite dal canovaccio: della scena clou abbiamo già detto, le bond-girl sono ridotte al minimo, stavolta Bond scopa decisamente poco per i suoi standard e una - la ragazza con cui si accompagna dopo la sua presunta morte - è pure racchia. I due momenti in cui Bond dovrebbe essere in balia del cattivo non sono veramente emozionanti perché sappiamo già che Bond si salverà grazie ai gadget di Q (occhio: lo sappiamo benissimo che Bond ce la farà, il problema è come; in questi due casi già sappiamo che stanno arrivando i nostri grazie al piccolo localizzatore radio e che la pistola in mano al cattivo non sparerà perché programmata per le impronte digitali di Bond ). La sorpresa finale è che non c’è il secondo finale col cattivo superstite e abbiamo solo quello tragico, che per certi versi apparenta questo film a al Servizio Segreto di Sua Maestà, per l’appunto un Bond atipico, criticato all’epoca soprattutto per colpa del protagonista George Lazemby e solo in seguito rivalutato, e che personalmente considero uno degli episodi migliori della saga.
Marco Benedetti