Inventing Anna | la recensione della miniserie

Fabrizio Guerrieri 25 Febbraio 2022 Cinema, Movie e Serie TV

Il biopic di Netflix sulla truffatrice Anna Sorokin, in arte Delvey, è costruito in modo amorale e confuso, come se il suo solo scopo fosse quello di indagare sullo sfarzo e il glam dietro ai crimini commessi, piuttosto che raccontare di un’accurata e complessa inchiesta giornalistica


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Mentre il suo direttore le sta assegnando un lavoro, la giornalista Vivian Kent viene a conoscenza di un caso molto allettante: la storia di una finta ereditiera tedesca, Anna Delvey, finita in manette per aver truffato amici, hotel e istituti finanziari per un totale di 275 mila dollari. Quando incontra la ragazza in prigione inizia a capire che di quello che racconta non c’è quasi niente di vero, a partire dal suo cognome, che in realtà è Sorokin e le sue origini che sono russe. Ma per riuscire a ricomporre il puzzle dei movimenti di Anna, Vivian dovrà affrontare le iniziali chiusure delle persone maggiormente a conoscenza di parti dell’intera verità.


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Tratta dall'inchiesta "How Anna Delvey tricked New York's party people" (Come Anna Delvey ha ingannato i festaioli di New York) di Jessica Pressler per il magazine New York, Inventing Anna è stata realizzata dalla casa di produzione televisiva Shondaland, fondata e diretta da Shonda Rhimes che ha sfornato enormi successi a partire da Grey's Anatomy, che dal 2005 ha generato finora 18 stagioni per un totale di 402 episodi, fino a Bridgerton, che alla sua prima stagione nel 2020 ha registrato 82 milioni di visualizzazioni dopo soli 28 giorni dal suo debutto confermandosi fra i più grandi successi delle serie originali Netflix. Per cui è facile dare per scontato un risultato eccellente anche di questa serie. Invece no, perché in questo caso non si tratta di un prodotto di finzione.


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L’incipit di ogni episodio recita “Questa storia è del tutto vera. Tranne le parti completamente inventate.” (uno termina con “Tranne le parti che sono una stronzata.”). E questo la dice lunga sull’affidabilità circa la ricostruzione di una biografia che ha occupato pagine e pagine di giornali, un podcast, un documentario e uno spettacolo teatrale, oltre a un libro della redattrice di Vanity Fair America Rachel Williams, ex amica di Anna, intitolato My Friend Anna: The true story of the fake heiress of New York City. Il primo episodio racconta una Anna dietro le sbarre mostrandola debole nonostante l’apparente sicurezza data dal disprezzo verso ogni cosa che non sia costosa e di gusto. Narrativamente funziona solo a momenti e trattandosi di un pilot non è affatto una buona idea iniziare così. Ma dal secondo episodio partono i flashback con la ragazza di cui tutti vorrebbero essere amici, piena di stile, in alcuni momenti persino solare e addirittura piacevole. Anche perché nonostante risulti spocchiosa, sa il fatto suo e dice cose decisamente sensate.


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La presenza di Julia Garner (che per prepararsi per la parte ha incontrato la vera Anna Sorokin in carcere) sembrava poter assicurare una qualità quantomeno vicina a quella di Ozark, in cui interpreta la rozza ma efficace Ruth Langmore, ruolo che le è valso un Emmy come attrice non protagonista. Ma le sue labbra che si storcono le poche volte in cui si sente temporaneamente sconfitta e il suo piglio deciso e arrabbiato in grado di risolvere qualsiasi problema vengono sminuiti da due personaggi: il suo e quello della ingombrante coprotagonista. Fin dall’inizio, in diversi punti, Anna viene praticamente elevata a paladina delle donne, una vera post femminista che gareggia con uomini ai quali viene perdonato tutto. Un insulto verso le donne che lavorano onestamente, scivoloni di cui era meglio fare a meno e che invece costellano gli episodi di momenti risibili quando non squallidi. Perché Anna è la versione femminile di The Serpent, meno definitiva, è vero, ma altrettanto letale, e per giunta con metodi suadenti Mata Hari style. Ma senza il sesso. Una manipolatrice narcisista e sociopatica dedita all’apparenza più bieca, allo scopo di creare una fondazione (a suo nome!) che attragga ospiti facoltosi pronti a sborsare cifre astronomiche pur di farne parte. Si arriva a un punto in cui si potrebbe ipotizzare che la vera Anna sia una vittima, non del sistema giudiziario che l’ha correttamente fermata, ma proprio di questa serie. Completamente amorale negli intenti e sempre più confusa nello sviluppo della trama.


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In cui ad affiancare la Garner c’è Anna Chlumsky che interpreta la giornalista Vivian Kent che cerca di ricostruire i fatti che hanno condotto la ragazza agli arresti, per confezionare un articolo che la sottragga al dimenticatoio mediatico causato da un precedente articolo. L’attrice – diventata celebre da piccola per ruoli in diversi film tra cui Papà ho trovato un amico con Macaulay Culkin che l’anno prima era esploso grazie a Mamma, ho perso l'aereo – gigioneggia in maniera insopportabile come fosse ancora la ragazzina deliziosa che si può permettere di ammiccare in ogni momento perché sa di poter suscitare esclamazioni di sospirante tenerezza come quelle di quanti si siano trovati di fronte gli occhioni del Gatto con gli stivali in Shrek. Solo che adesso ha quarant’anni e si trova in un biopic, due cose su cui avrebbe dovuto riflettere più attentamente.


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La serie tenta di fare allo spettatore quello che Anna ha fatto alle persone che ha frodato: ingannare continuamente e senza alcun ritegno, il tutto col candore e la spudoratezza della Lolita di Nabokov. Ondivaga come un foulard in una tempesta, la sceneggiatura di Inventing Anna si concentra sulla non protagonista, la giornalista, come conducente della storia, affidandole il compito di giudice morale. Il che potrebbe andar bene e funzionare se non fosse per il fatto che sia Vivian che l’intero copione non prendono mai posizione, un punto di vista chiaro, centrato, almeno nel finale. In più di un momento la storia sembra virare in favore di una qualche giustificazione per i comportamenti della protagonista. Tutte disattese dai fatti, ma portate stoicamente avanti come una missione, da vari personaggi che vedono la ragazza come un faro, un esempio d’amicizia e lealtà, da seguire senza fare troppe domande, come se fosse un vero e proprio dogma.


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C’è poi un elenco sterminato di insensatezze che rovinano qualsiasi possibilità di redenzione. Inizialmente Anna viene presentata come una giovane donna profonda e sensibile, conoscitrice dell’arte migliore. All’improvviso diventa una superficiale squallida ed egoista che non apprezza la bellezza, come accade in Marocco in cui preferisce riempire i propri social di selfie piuttosto che godere delle ricchezze del luogo. Inoltre la presenza di diverse donne emancipate e di successo sembra poter tenere testa alla truffatrice, fino a quando, praticamente tutte iniziano a frignare come preadolescenti alle prese con le prime cotte verso l’attore o il cantante di turno. Infine la cosa più grave.


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Accanto a vari aspetti ricostruiti in maniera sufficientemente aderente alla realtà, Inventing Anna è piena di inesattezze. Non che non sia lecito quando si racconta una storia, ma qui si esagera e non poco. La prima riguarda la giornalista Vivian che convince Anna a non accettare l’accordo proposto dall’accusa, andando così al processo che avrebbe potuto consentire all’una di redigere l’articolo e all’altra di ottenere un verdetto più giusto. Ma le cose non sono andate così, primo perché sarebbe stata una violazione all’etica professionale da parte della Pressler (la giornalista che ha ispirato il personaggio di Vivian) e secondo perché la stessa iniziò a interessarsi del caso una volta che la Sorokin aveva deciso di andare in giudizio. L’ultima inesattezza riguarda la totale assenza dei genitori della ragazza nella sua vita, specialmente quando vengono a sapere che Anna è sotto processo. La verità è che nonostante i due fossero stati notevolmente messi alla prova dalla figlia in passato per aver preso una serie di decisioni sbagliate al fine di raggiungere i propri obiettivi, insieme scrissero una lunga lettera al giudice in cui chiedevano clemenza affermando che la ragazza non meritava di essere rinchiusa in un carcere e sostenendo di essere stati in contatto con lei negli anni in maniera continuativa, cosa mai smentita da Anna.


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In mezzo c’è una sequela di fatti raccontati all’unico scopo di rendere tutto più glamour e affascinante, mistificando la realtà e, cosa peggiore, perdendo di vista la narrazione, cambiando prospettiva continuamente e in maniera vaga e sfocata. Solo dal penultimo episodio, la trama assume una parvenza d’inchiesta giornalistica seria, specialmente grazie al lavoro della squadra di giornalisti anziani che aiuta Vivian, un gruppo di attori deliziosi se non fenomenali. Ma non è abbastanza per risollevare le sorti di una serie che non si può smettere di seguire – perché si vuole capire a tutti i costi in che modo una ragazzina di poco più di vent’anni sia riuscita a frodare tanta gente – ma il cui finale risulta essere una vera e propria liberazione. A tal proposito ci sono due ultime cose importanti da sapere. Una è che Anna Sorokin ha ricevuto da Netflix 320 mila dollari per i diritti sulla storia, denaro che per la maggior parte è stato restituito alle sue varie vittime. L’altra è che dopo essere stata rilasciata sulla parola per buona condotta dopo meno di due anni di detenzione (la pena andava dai 4 ai 12 anni), è stata fermata di nuovo a causa della scadenza del suo visto d’immigrazione. Il che è tutto dire.


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Perché guardare la miniserie Inventing Anna?
Perché no.


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VALUTAZIONI

dal trailer all’intera serie
Aspettativa 8 Potenziale 9

soglia d’attenzione
Scorrevolezza MEDIA Impegno MEDIO

visione
Intrattenimento 6,5 Senso 3 Qualità 6,5
Giudizio Complessivo 5,3

Inventing Anna
drammatico | USA | 11 feb 2022 | 9 ep / 67 min | Netflix

ideatrice Shonda Rhimes tratta dall'inchiesta "How Anna Delvey Tricked New York's Party People" di Jessica Pressler per il New York magazine

personaggi interpreti

Anna "Delvey" Sorokin Julia Garner
Vivian Kent Anna Chlumsky
Todd Spodek Arian Moayed
Rachel Williams Katie Lowes
Neff Davis Alexis Floyd
Jack Anders Holm
Maud Anna Deavere Smith
Lou Jeff Perry
Barry Terry Kinney
Kacy Duke Laverne Cox

critica IMDb 6,9 /10 | Rotten Tomatoes critica 6,1 /10 utenti 2,4 /5 | Metacritic critica 57 /100 utenti 4,1 /10

aspect ratio 1,85 : 1

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