Blackhat
Cyber-terrorismo su scala globale nell'ultimo discusso film del regista americano Michael Mann. Distribuzione del disco firmata per l'Italia da Universal Home Video
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In Cina una centrale nucleare rischia la fusione del nocciolo, negli Stati Uniti il mercato borsistico è scosso da inaspettati sbalzi del prezzo della soia. Le due nazioni tentano di fronteggiare assieme quello che ben presto si rivela un micidiale attacco informatico da parte di un 'blackhat', cyber-terrorista che ha messo in opera un codice scritto anni prima da un brillante studente universitario, Nick Hathaway (Chris Hemsworth), assieme al compagno asiatico Chen Dawai (Leehom Wang) ora esperto di scientifica informatica.
Quest'ultimo forzerà le autorità americane a liberare Nick, che sta scontando una dura prigione, per dare rapidamente un volto all'attentatore. Tra agguati all'ultimo sangue e specchi (informatici) per le allodole il team dei due Paesi si mette sulle sue tracce ignaro dei mortali pericoli cui andrà incontro e incapace anche solo di immaginarne il vero obiettivo.
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Con un'opera non del tutto riuscita come “Public Enemies” (non ho digerito più di tanto la scelta artistica di riprese così palesemente digitali a mio avviso in contrasto col periodo storico) il regista statunitense di opere cult come “Thief – Strade violente” o “The Keep – La fortezza” torna su grande schermo dopo sei anni di silenzio, periodo in cui si è documentato per “Blackhat” ma ha anche contribuito alla produzione del primo interessante film diretto dalla figlia Ami Canaan, “Le paludi della morte”, in concorso a Venezia 2011.
“Blackhat” è un film a tratti intenso e coinvolgente almeno quando davanti alle telecamere HD scorrono momenti drammatici di vita criminale come nel recente “Miami Vice” (che adoro a dismisura e di cui ritroviamo l'attore newyorchese John Ortiz anche se non più nei panni di un pericoloso trafficante), film che compone una sorta di trittico thriller-autoriale assieme all'altrettanto intenso “Collateral” (che inaugurò la stagione digitale del regista dopo alcune riprese HD per il precedente “Alì” del 2001) e al capolavoro “Heat – La sfida”. Ampio l'uso della camera a spalla ingiustamente criticato e comunque mai ridondante o soffocante come nel caso di “Bourne Supremacy” di Paul Greengrass del 2004.
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Contrariamente a quello che sarebbe stato lecito aspettarsi per il ruolo maschile principale il regista non ha percorso la strada canonica del nerd occhialuto con Q.I. stellare ma ha chiamato Chris “Thor” Hemsworth, sulla falsariga di quanto fece il regista Dominic Sena con Hugh Jackman in “Codice: Swordfish” (2001). Scelta certo azzardata con il palestrato attore australiano, nel 2014 riconosciuto dalla rivista People l'uomo più bello al mondo, che impersona il genio maledetto dell'informatica Nick Hathaway ma il cineasta di Chicago non si è fermato qui, associandogli un passato violento e burrascoso per cui muscoli e forza bruta diventano pane quotidiano per averla vinta a mani nude anche quando il confronto è impari.
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La sceneggiatura è scritta dallo stesso Mann assieme a Morgan Davis Foehl, con un passato da montatore qui alla sua prima scrittura, altra mossa azzardata come dimostrano alcuni pilastri della narrazione davvero poco plausibili: utilizzare una 'backdoor' (qualcuno ricorda “Wargames”?) per iniettare un malware e sabotare una centrale nucleare o alterare il prezzo di borsa della soia? (Im)possibile da immaginare e certo un 'RAT' (Remote Access Tool) che permette di caricare il 'Payload' del blackhat suonerà pretenzioso e avrà anche fatto sorridere risuonando comunque affascinante filtrato per licenza poetica.
Gli alti e bassi sono più che altro generati da alcune frasi al limite del ridicolo come, giusto per citarne una, “incassare soldi non lascia traccia” (affermazione poi confutata da un successivo evento nello stesso film): certo perché al giorno d'oggi passerebbe inosservato movimentare 74 milioni di dollari frutto di insider trading generato da un cyber-attacco alla borsa americana, danaro che passando da un conto all'altro finisce nelle mani di chi qualche ora prima da un Paese asiatico è penetrato nel sistema informatico nientemeno che dell'americana NSA (National Security Agency) con una banalissima e-mail phishing contenente un pdf corrotto, ignorato da destinatario e sistemi di protezione, al fine di mettere le mani su un segretissimo programma di ricostruzione dati di archivi danneggiati.
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Mostrare comandi shell battuti in rapida successione (nemmeno un dattilografo) assieme a misteriosi indirizzi ip farciti di discorsi su proxy stranieri, identificare in frazioni di secondo elementi estranei a un codice macchina, penetrare in un istante reti isolate da Internet e dal resto del mondo con chiavette USB o collegarsi alla rete con un laptop nel bel mezzo del nulla sono argomenti poco convincenti dove il realismo (IT) è sacrificato sull'altare del racconto ma anche qui quando le immagini scorrono su grande schermo si potrebbe rimanerne affascinati.
Stroncato dalla critica e dal pubblico americano che ha disertato la sala il film di Mann sa comunque come intrattenere col consueto grande stile nella narrazione visiva, tiene ripetutamente alta la tensione a patto di abbandonarsi all'avventura di Hathaway e compagni senza porsi quesiti scientifici (“Interstellar” docet). Un'opera che ha in tutti gli scontri a fuoco potenti climax evocativi di lavori del grande regista su tutti “Heat – La sfida” e “Miami Vice”.
Qualità video
BD-50, aspect ratio 2.35:1, codifica video AVC/MPEG-4 (1920x1080/23.97p).
Come è uso sin dai tempi di “Collateral” il regista lavora quasi esclusivamente in ambito digitale e per “Blackhat” ha impiegato un vasto hardware (Arri Alexa XT e XT-M, Canon EOS 5D Mark III, Canon EOS 7D, GoPro HD Hero 3, Phantom Flex, Red Scarlet; fonte IMDB, ndr) lavorando col cinematographer Stuart Dryburgh (“Le paludi della morte”, “I sogni segreti di Walter Mitty”) connotando le diverse location in cui si sviluppa la storia con differenti toni colore dando enfasi al racconto.
Ampio e costante contrasto, senso digitale e rumore innescato alle basse luci sono parte integrante dello stile che contraddistingue da tempo la vena autoriale del regista. Neri profondi, profondità di campo e possibilità di acquisire elementi scenografici in secondo piano e background. Minimo empasse notabile nel cedimento delle sfumature colore a pochi secondi dai titoli di coda con evidenti aloni in secondo piano.
Analisi del bitrate
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Qualità audio
Stuolo di tracce DTS 5.1 lossy tra cui anche l'italiano (754 kbps assieme a spagnolo, francese, tedesco e hindi) per un ascolto efficace e dinamico, in particolare la presenza scenica del fronte anteriore e la spinta del subwoofer, profondo e anche irruente.
Reference la traccia DTS-HD Master Audio 5.1 canali inglese (core @1509 kbps) che apre a un panorama sonoro coinvolgente e intenso anche per il fronte rear, elementi sonici e notevole dinamica riportano la memoria alla visione in sala. Presente ulteriore traccia AC-3 2.0 canali (192 kbps) inglese descrittivo non vedenti.
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Extra (HD)
“La cyber-minaccia” è un approfondimento di 13 minuti sulla creazione del racconto, altri 9 minuti circa dedicati alle 74 location e i 4 Paesi in cui è stato girato il film e 17 minuti sui personaggi e il contributo nel rendere più credibili gli eventi in cui rimangono coinvolti. Sottotitoli in italiano.
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La pagella secondo CineMan
Film |
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6,5 |
Authoring |
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6 |
Video |
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9 |
Audio ITA |
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8 |
Audio V.O. |
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10 |
Extra |
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