tridimensionalità del suono...
lettori cd con uscite variabili comodamente gestibili da telecomando... DAC esterni con tanto di selettore ingressi e uscite variabili controllate da (spesso economici) potenziometri... ci si chiede a cosa serva allora un preamplificatore tra magari l'unica sorgente (o il DAC esterno) e il finale... solo ad aggiungere altri cavi e componenti elettronici e meccanici al percorso del segnale che dovrebbe invece essere il più puro possibile?!
è ciò che ho voluto appurare proprio in questi giorni immergendomi in attente prove di ascolto con diverse configurazioni...
se si ascolta distrattamente una buona sorgente connessa a un buon finale che pilota ottimi diffusori si può facilmente affermare: caspita che suono! questo impianto stereo è formidabile! poiché definizione, microdettaglio, capacità dinamica, grana dei medi, controllo dei bassi... ecc. ecc. ci sono tutti! anzi, in un sistema così essenziale, il suono viene fuori più aperto, definito, cristallino.
ma...
poi collegate il pre e fate la comparazione con lo stesso brano appena ascoltato: un altro mondo!!
cosa è successo? si è aggiunta una componente che rende la musica magica: la tridimensionalità del suono. oppure chiamatela spazialità, soundstage, rotondità... è sempre quel pizzico di magia, quell'emozione in più che fa la differenza.
ecco svelato l'arcano sul ruolo del preamplificatore: non si tratta semplicemente di poter selezionare più ingressi, di poter regolare il volume, di fornire la giusta compatibilità elettrica al finale... qui si tratta di creare la corretta tridimensionalità dell'immagine sonora... e non è roba da poco!