ciesse ha scritto:
Vorrei riprendere un po' il discorso progettuale accennato da Andrea Aghemo (e perché bisognerebbe considerare solo amplificazioni di valore, o, come le avete chiamate "blasonate").
Tra gli "svantaggi" della classe D bisogna innanzitutto considerare il filtro d'uscita.
Essendo nella maggior parte delle realizzazioni un filtro passivo, esso di solito è strettamente correlato ad una specifica resistenza di carico.
Sopra a tale valore di resistenza tende a risuonare, al di sotto a sovrasmorzare e in presenza di carichi reattivi (come un sistema di diffusori) tende a creare variamente complicati circuiti di risonanza.
Per ovviare a questo svantaggio la frequenza di taglio del filtro (che corrisponde alla f. portante dell'ampli), va innalzata il più possibile (ma questo porta a perdite, perché i mos-FET finali di potenza hanno un'impedenza di ingresso ampiamente capacitativa).
Aumentando la numerosità delle commutazioni aumenta la corrente e la potenza di pilotaggio richiesta dai mos-FET, ma anche la potenza dissipata per i brevi istanti dei due stati assumibili, quindi va anche ben "ventilata" la sezione degli stadi finali.
Un altro svantaggio è che forti correnti ad alte frequenze possono portare a penetrazioni in radiofrequenza nel segnale, ma realizzando appropriatamente la massa sui circuiti delle schede queste possono essere ben controllate.
Chiaramente un non appropriato layout costruttivo delle schede porta a risultati non buoni dell'amplificatore, così come la scelta di componenti ad impulsi molto pregevoli minimizza i guai...
Alla fine un buon ampli in classe D, capace di pilotare diffusori di buona levatura, deve comunque "costicchiare" quel qualcosa più di un T-amp, credo...
Se, invece, si pensa a un sistemino surround e ci si accontenta, va benissimo anche risparmiare e avere quella potenza che si desidera anche se non ben rifinita sonicamente...
Ciao!
C.