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Questa non è una canzone d'amore Di rabbia e di vento La terza serie italiana su Amazon Prime Video (dopo Vita da Carlo e Tutta colpa di Freud) è tratta da Questa non è una canzone d'amore del 2014 e Di rabbia e di vento del 2016, primo e terzo romanzo del ciclo di Carlo Monterossi dello scrittore, giornalista e autore televisivo Alessandro Robecchi. Visto il curriculum dell’autore (qui co-sceneggiatore, che ha curato anche la scrittura degli spettacoli teatrali e televisivi di Maurizio Crozza) si percepisce da subito un’aria non tanto di autobiografia quanto di proiezione di sé in una realtà alternativa. Affascinante. In più è diretta da Roan Johnson che tra i vari prodotti televisivi sfornati ha la discreta I delitti del BarLume (con Filippo Timi, Lucia Mascino, Carlo Monni, Alessandro Benvenuti, Stefano Fresi e Corrado Guzzanti), dalla seconda stagione in poi, anche questa tratta da romanzi. Entrambi hanno esperienza nel settore, per cui gli ingredienti per costruire una serie destinata a un pubblico più liquido rispetto a quello delle reti nazionali c’erano tutti. Avere poi a disposizione fuoriclasse del calibro di Fabrizio Bentivoglio, Donatella Finocchiaro, Tommaso Ragno, Maurizio Lombardi e Carla Signoris è garanza di qualità. Monterossi parte forte. Titoli di testa, la voce di Bob Dylan che canta maestoso la sua Knockin' on heaven's door, un omicidio spietato. Tutto perfetto. Poi arrivano gravi le parole “Sei una testa di cazzo!” all’indirizzo del protagonista, che si staglia sullo schermo come solo lui sa fare. Dialogo serrato, campo e controcampo che delineano immediatamente i tratti di Carlo. Indolente, pentito per aver messo in scena uno spettacolo che si è poi trasformato in una bestia abominevole che fa il trentasei percento di share. Uno arrivato, che si gode la bella vita con una buona dose di pigrizia. Fin qui ancora tutto bene, come si ripete l’uomo che sta precipitando da un grattacielo. – Gradite un caffè? Anche la presenza di Donatella Finocchiaro, che interpreta Lucia, ex di Carlo, ancora suo interesse amoroso, è solo accessoria, quasi fine a sé stessa. La speranza è che si possa assistere a un suo maggiore coinvolgimento in seguito. Carla Signoris, che interpreta la presentatrice opportunista di Crazy Love, è davvero niente male nel ruolo. Non che la cosa sorprenda, ma abituati a vederla in veste di buona o stupendamente svampita, si poteva immaginarla un po’ stonata nei panni di Flora, donna priva di scrupoli, molto simile a personaggi reali ben conosciuti nel panorama televisivo italiano. Al contrario, la sua presenza arricchisce la storia, con gli ipocriti botta e risposta tra lei e Bentivoglio, l’una mossa dalla cupidigia, l’altro costretto ad assecondare il progetto non per soldi ma per scopi ben più alti. La bella scoperta è quella di Martina Sammarco nella parte di Nadia, collaboratrice di Carlo in tv ed esperta informatica utilissima per risolvere i casi. Una donna moderna, decisa e forte, ma al contempo fragile e arrabbiata quando deve fare i conti con la precarietà di un amore. Bravi anche gli altri comprimari, Diego Ribon (il poco serioso sovrintendente Tarcisio Ghezzi), Luca Nucera (il fidato collaboratore Oscar), Marina Occhionero (l’inesperta ma curiosa agente Sannucci), Miriam Previati (la seducente e dolce Anna), Roxana Doran (la brillante e solare Serena) e soprattutto Maria Paiato nei panni di Katia, l’energica agente di Monterossi. Le due trame risultano interessanti. Nella prima storia, un omicidio inspiegabile, seguito da quello tentato ai danni di un incolpevole Carlo, due zingari in cerca di vendetta, due assassini assoldati per far fuori un uomo, nazifascisti collezionisti di souvenir d’altri tempi. Nella seconda, l’inizio della collaborazione tra Monterossi e il sovrintendente di polizia per sbrogliare la matassa che parte dalla morte del proprietario di una concessionaria, passa per quella di una escort d’alto bordo e finisce con la ricerca di un misterioso tesoro nascosto. Il problema è la messa in scena. I protagonisti alle prese con le indagini parlano tra loro, si raccontano gli sviluppi delle ricerche fatte per trovare i colpevoli dei delitti. Colpevoli che non si vedono mai, evocati solo con nomi e cognomi. Un realismo esagerato che costringe lo spettatore a dover seguire gli avvenimenti alla cieca, senza il punto di vista di altri personaggi che non siano il protagonista o i suoi collaboratori. Il che alla lunga oltre che didascalico diventa assai stancante. La serie non fa alcuno sforzo per non apparire alla stregua di un prodotto televisivo qualunque, ed è anomalo visto che ognuna delle due storie viene sviluppata in tre episodi della durata di tre quarti d’ora, due ore e un quarto a disposizione per raccontare per immagini i movimenti dei colpevoli, degli innocenti e di quelli che non si sa da che parte collocare. Il che fa perdere notevolmente di smalto a vari pregi come la suddetta colonna sonora di Bob Dylan, che è certamente tra le cose più apprezzabili, o gli sguardi in macchina di Carlo a rompere la quarta parete, non rivolto allo spettatore, bensì a un personaggio interno. Perché guardare la prima stagione di Monterossi? VALUTAZIONI dal trailer all’intera serie soglia d’attenzione visione Monterossi | stagione 1 regia Roan Johnson soggetto e sceneggiatura Roan Johnson, Davide Lantieri, Alessandro Robecchi personaggi interpreti Carlo Monterossi Fabrizio Bentivoglio critica IMDb 7,2 /10 | Rotten Tomatoes nd | Metacritic nd camera Sony CineAlta Venice (Cooke S4 Lenses) |
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