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C’è una moltitudine di interrogativi che accompagna l’uscita di Diabolik, ottavo film di Marco e Antonio Manetti, in arte Manetti Bros., il cui lancio ha mantenuto un alone di mistero attorno alla storia fino all’ultimo, con trailer che mostravano poco o nulla, soprattutto tenendo conto del fatto che avrebbe dovuto uscire un anno fa e nel frattempo niente di consistente è trapelato. Il risultato è all’opposto totale delle aspettative, in questo modo aumentate vertiginosamente. Fin dalla prima scena si percepisce un senso di inverosimile, di inaccurato, quasi di ridicolo. Ma proseguendo nella visione (coraggiosamente e speranzosi), le cose purtroppo peggiorano. Didascalico, ridondante, piatto, forzato, noioso, sciatto. Non ci sono altri aggettivi per definire ciò che viene mostrato. I diversi pregi presenti, come le potenzialità recitative dell’istrionismo di Luca Marinelli e l’eleganza vocale ed estetica di Miriam Leone, vengono schiacciati dal peso di una sceneggiatura inconsistente che li rende eccessivamente freddi e scostanti, una messa in scena approssimativa con errori plateali (come i poliziotti che incrociano il viceministro e lui solo girando appena la faccia non viene riconosciuto) e un montaggio che sembra non conoscere alcun ritmo, in un genere in cui è fondamentale saperlo dosare al millilitro. Adattare un’opera disegnata in forma di immagini in movimento non è certo uno scherzo. Le atmosfere tipiche degli anni ’60 sono riportate fedelmente solo esteriormente (scenografie, costumi, acconciature), ma la narrazione è ondivaga. La collocazione narrativa non è chiara, non sa se restare ancorata a uno stile classico o tentare la strada dell’aggiornamento linguistico, cosa quest’ultima peraltro necessaria affinché la storia possa essere goduta a dovere ai giorni nostri. Per ciò che riguarda la parte auditiva, la scelta di utilizzare una colonna sonora moderna piuttosto che citare miti del passato che ben si sarebbero collocati in un plot volutamente anticato è poco incisiva. I piacevoli brani di Manuel Agnelli mal si coniugano alla narrazione non perché non potessero starci ma perché il modo in cui vengono rappresentati Diabolik ed Eva Kant sono lontani da quei messaggi. Il protagonista non conquista lo spettatore, al contrario lo allontana, non crea alcuna empatia, viene quasi da fare il tifo per l’ispettore Ginko di Valerio Mastandrea, vero eroe della pellicola. Il che è un vero e proprio paradosso. Si potrebbe anche parlare di bianco e nero, ma sarebbe davvero stato utile in termini di impatto visivo? Probabilmente no. Ma quello che si vedeva nei vari spot (più che trailer) dava l’impressione che gli autori si fossero quantomeno ispirati a quel modo di raccontare. Si veda come esempio il teaser qui sotto.
Un’occasione mancata? A dir poco. Quel che è peggio è che sono previsti due seguiti e le riprese del primo sono partite già lo scorso ottobre. Diabolik meriterebbe una serie tv di qualità di almeno cinque stagioni per rappresentare anche se parzialmente ma significativamente i quasi mille numeri del fumetto. Il trailer qui sotto è il tentativo di Sky di portare sullo schermo il Re del Terrore e il video ha se non altro un fascino e uno spessore ben maggiori di quelli della pellicola. Ma la cosa migliore è che si tratta di un trailer di ben nove anni fa, pensiamo a cosa si potrebbe fare oggi.
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