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Kilo ha scritto:
I metodi di produzione dei diamanti in realtà si sono evolute parecchio negli ultimi anni e sono diventate molto più economiche, richiedendo un dispendio di energia più "contenuto", se così si può dire.
La produzione partendo da grafite sottoposta ad alta pressione ed alta temperatura è stato solo uno dei primi passi per la produzione, intorno agli anni 50.
Molto presto si è passati a sistemi di accrescimento in atmosfere cariche di composti semplici del carbonio, tenute ad elevate temperature (circa 1000°C), come tetraioduro di carbonio o anche semplice metano.
I difetti maggiori di questi diamanti sono le micro inclusioni di grafite che si forma durante il processo, inficiandone le caratteristiche chimiche e fisiche.
La struttura non perfettamente organizzata in un unico cristallo e le inclusioni di grafite, rendevano i diamanti artificiali più fragili e non trasparenti; negli ultimi anni i processi sono migliorati parecchio, tanto che comincia ad esserci un inizio di concorrenza tra diamanti naturali e sintetici nel campo della gioielleria.
Si sono affinati principalmente due sistemi di "produzione" chiamati CVD (Chemical Vapour Deposition) che vaporizzano sostanze come metano (i cinesi sono riusciti anche con anidride carbonica, pare con ottimi risultati) a temperature tra i 1000 e i 2000°C.
La prima tecnica viene operata sotto vuoto e permette la crescita del diamante partendo da una gemma naturale attorno alla quale si depositano gli altri atomi di carbonio, mantenendo una struttura molto coerente e ben orientata. Da questa tecnica si ricavano diamanti anche di oltre 2 mm di spessore, di ottima qualità e purezza, adatti ad essere tagliati.
Questi, successivamente trattati con tecniche HPHT (alta pressione/alta temperatura) utilizzata spesso anche su gemme naturali qualitativamente inferiori, possono essere ulteriormente raffinati e sbiancati, rendendoli quasi irriconoscibili da diamanti veri, se non con particolari analisi, come la spettrofotometria UV.
La seconda tecnica prevede l'accrescimento di diamente policristallino su superfici anche di qualche centimetro quadrato sempre mediante vaporizzazione di metano o altro, ma in presenza di idrogeno, che garantisce una minore formazione di inclusioni di grafite.
In questo caso sulla superficie non si deposita uno strato compatto di diamante ma crescono in modo disordinato tanti cristalli indipendenti, che non potrebbero resistere senza il substrato.
Le superfici trattate in questo modo guadagnano notevolmente in resistenza all'usura ma esistono problemi di sfaldamento degli strati se sottoposti a deformazioni meccaniche, per via delle piccole inclusioni di grafite.
Ovviamente c'è un forte irrigidimento della struttura trattata, ma nel caso di lamine come quelle di un tweeter direi che il grosso del lavoro lo fa il substrato.
Un tweeter è per sempre... De Beers:D
Grazie dell'intervento Kilo!