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Non è la prima volta che per un caso fortuito poi abbia avuto l’intuizione o la determinazione a realizzare qualcosa di inusuale. E così è capitato pure questa volta, col Frattacapo che mi chiedeva da tempo un diffusore da usare come termine di paragone con gli altri diffusori da provare *e per analizzare meglio sorgenti e amplificatori*, potevo anche far sparire i due cabinet dall’ingresso del laboratorio. In verità non avevo pensato di unire le due cose perché i due prototipi erano davvero brutti, col classico ed orrendo condotto in pvc arancione che faceva bella mostra di se appena al di sotto dell’apertura destinata al woofer. In prima battuta avevo scelto dei componenti italianissimi ed avevo verificato che il volume e la frequenza di accordo scelta fossero congrui con un basso ben smorzato. Avevo simulato la risposta con i miei giurassici software in DOS, completissimi nel modello matematico, lo stesso usato poi in Audio For Windows ma comunque operanti in ambiente DOS. La risposta era buona e come piace a me, ovvero un QB3 senza tentativi “estremi” di estensione verso le basse a discapito dello smorzamento. Avevo controllato la struttura del cabinet con l’accelerometro e montati i trasduttori, per verificarne le riflessioni interne da contrastare con l’utilizzo appropriato di materiale assorbente sia col feltro che col poliuretano ad alta densità. Alla fine di tutto avevo disegnato il filtro crossover, con i soliti andamenti del quarto ordine Linkwitz Riley. Una regola alla quale non sono venuto mai meno nel progetto dei diffusori recita che un diffusore deve piacermi per l’ascolto di tre mattine di seguito per catturare la mia attenzione e per costringermi ad affinare tutto quanto in mio potere. Ma già nel secondo ascolto avevo notato un comportamento eccellente ad alto volume ma una certa asprezza e granulosità a volumi bassi, dove la timbrica variava notevolmente. Era di questa opinione anche il mio fido “Max Fonico”, al secolo Massimo D’Auria, collega e giudice inflessibile. Ho guardato attentamente nel mio laboratorio ed ho tirato fuori due altoparlanti della Scan Speak che confrontati con i Sica tramite il sistema Klippel andavano addirittura peggio alle misure. Comunque il lavoro sul box era già fatto ed a me non restava altro da fare che migliorarne decisamente l’estetica. Mi è venuto incontro Felice Malinconico installatore dal tocco magico che in poco tempo ha trasformato i due brutti anatroccoli in due magnifici cigni neri. A quel punto era necessario fare un buon crossover, secondo le mie convinzioni maturate negli anni. Avere mano libera in questo ed in altre realizzazioni rappresenta una condizione ideale che ti consente di andare esattamente dove vuoi. Sono partito come al solito da un filtro del quarto ordine, ma al terzo ascolto, dopo una prima fase di simpatia ha iniziato a non piacermi. Bella scena ma un suono troppo essenziale, magro. Ecco allora l’idea fulminante: “se non riesco a fare una fase relativa decorosa con un andamento delle risposte troppo deciso posso sempre abbassare drasticamente l’ordine acustico dei componenti filtrati.” Se per il tweeter ho dovuto faticare poco, vista la risposta regolare e la notevole estensione, ho impiegato un discreto tempo per allineare il woofer, non tanto per ottenere una risposta globale molto lineare, anzi, quanto per far andare le fasi acustiche come volevo io in un range accettabile di frequenze. Alla fine dei tentativi ho trovato la quadra, ho cercato i componenti del filtro crossover ed ho montato il tutto. Mi ha meravigliato il fatto che l’orchestra, ascoltata nell’unico diffusore che suonava, veniva dalla parete sinistra e si estendeva fino al centro della sala. Ho finito velocemente anche il filtro dell’altro diffusore, una decina di componenti di ed ho ascoltato la stessa orchestra in stereofonia. Bello!
Passati i tre giorni obbligatori ho limato soltanto l’attenuazione sul tweeter e regolata meglio l’estensione del woofer alle alte frequenze. Ho comprato i componenti del filtro da Axiomedia, preparati due supporti per i crossover e tagliati e saldati i cavi di collegamento. Insomma dopo una ennesima giornata di duro lavoro i due diffusori erano belli e pronti, ma la scena riprodotta entrava a malapena nel mio attuale ambiente di ascolto. Come se avesse voluto andare oltre. Ci ho pensato su ed ho pensato di portare i due diffusori al recentissimo atelier “Le Sonne Vintage” del dottor Luigi Vanni, noto appassionato di ascolto “senza fronzoli”.
Detto fatto ho posizionato con cura i diffusori e li abbiamo collegati ad un Mark Levinson abbastanza vintage. Non sapevo che dire quando ho visto la scena ben profonda allargarsi su tutta la parete dietro i diffusori, che sembravano non emettere musica. Avuta un buon incoraggiamento dallo stesso Luigi mi sono deciso a chiamare il Frattacapo che è venuto ad Avellino, ha ascoltato i diffusori nello stesso atelier, ha fatto un cenno d’intesa e se li è caricati in macchina ritornandosene a Teramo. Il woofer è un diciotto centimetri nominali e quindi 138 millimetri di membrana, con una risonanza prossima ai 50 Hz e la membrana rigida ma trattata per un buon smorzamento superficiale, così da non produrre vistosi break-up. Il tweeter è chiaramente uno Scan Speak, è dotato, ovviamente, di una cupola morbida da 30 mm. con un ferrofluido molto poco denso, ma che abbisogna di una decina di minuti per riscaldarsi. L’interno è un classico parallelepipedo, con un solo rinforzo in una posizione ben identificata dall’accelerometro, il condotto di accordo di diametro sufficiente a mantenere il flusso d’aria laminare e due soli morsetti di uscita, senza fronzoli inutili. Il carico a criticità variabile, tanto caro al Frattacapo per mettere in crisi gli amplificatori sotto test, è stato realizzato con una cella notch da collegare direttamente ai morsetti di ingresso del diffusore senza perturbare affatto la risposta del diffusore. Con i valori che ho scelto si può scendere a 4, 3 e 2 ohm. Ebbene al Roma Hi-Fidelity dello scorso 15 e 16 novembre l'interesse è stato davvero enorme, per quanto mi riguarda decisamente inaspettato, al contrario del Frattacapo che era preoccupato più che altro dalla sala piuttosto difficile da sonorizzare. Il diffusore sarebbe nato come prodotto esclusivo per AV Magazine e non replicabile, un monitor spietato che fosse soprattutto uno strumento di lavoro, magari da fare ascoltare in fiere di settore e in eventi nei punti vendita. Una specie di lente di ingrandimento per l'analisi di sorgenti e amplificatori, per dare anche un piccolo vantaggio alla testata con cui collaboro da tempo, ormai in maniera esclusiva. Ho parlato di progetto esclusivo e non replicabile ma in questo caso il condizionale è d'obbligo. Perché se riuscite a convincere il Frattacapo e il suo socio che hanno finanziato il tutto, potrei anche valutare la costruzione di una piccola e curatissima serie...
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