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Pagina 1 - Presentato come evento di apertura alla Mostra del cinema di Venezia e candidato a cinque premi Oscar (miglior film, regia, attrice, fotografia, montaggio) arriva nei cinema italiani Il cigno nero (Black Swan, Usa, 2010, 103’) di Darren Aronofsky che proprio in laguna aveva vinto nel 2008 il Leone d’oro con il precedente The Wrestler, film del grande ritorno, come icona struggente e carnosa, di Mickey Rourke. Il parallelo tra i due film è evidente e il regista stesso, prima dell’anteprima veneziana, si incarica di sottolinearlo addirittura in una intervista parlando di un dittico dedicato a due realtà, il wrestling e il balletto, che fanno uso del corpo per esprimersi, due modalità espressive, una considerata bassa e una alta, che trovano nello sforzo del corpo il punto centrale di applicazione. Il wreslter e la ballerina insomma vanno insieme tanto che il regista ammette di aver pensato in passato ad una storia tra queste due figure che successivamente si sono scisse nei due film. La struttura dentro la quale Aronofsky mette la storia de Il cigno nero è rigidamente classica cosi come lo era quella del precedente film: lo schema di tanti film sul ballo o i musical hollywoodiani in cui il nascere e il concretizzarsi dello spettacolo, della messa in scena del ballo, diventa momento risolutivo dei problemi dei personaggi. Siamo quindi alle prese con Nina, una virginale Natalie Portman, ballerina frustrata da una madre irrisolta – interpretata da Barbara “Maddalena” Hershey, l’unico personaggio veramente inquietante del film – che vede finalmente assegnarsi la parte della vita, il ruolo di Odette, la principessa incarcerata in un cigno. Ma il problema per Nina non è danzare il cigno bianco quanto piuttosto il suo lato oscuro, ovvero quel cigno nero che richiede più sensualità e passione. La ricerca di questa incarnazione porterà la protagonista ad un vero e proprio sdoppiamento, ad un confronto sanguinoso con il suo lato oscuro fatto di sessualità repressa, adolescenza insuperata e da fantasmi parentali incombenti. A fare da tramite in questo passaggio, il regista dell’opera, Thomas Leroy – Vincent Cassel, e Lily – Mila Kunis, rivale di Nina nel corpo di ballo e a suo agio nelle vesti del cigno nero. E’ facile capire come nel film di Aronofsky ci sia troppa carne al fuoco: il tema del doppio innanzitutto trattato in maniera decisamente insistita e spesso banale; il confronto con la storia del cinema attraverso il racconto ultra stereotipato della messa in scena di uno spettacolo ; le risonanze dell’opera di Cajkovskij; ed infine la progressione narrativa culminante nella metamorfosi del corpo della protagonista ci mette di fronte quasi ad un horror. Per tornare al parallelo iniziale con The wrestler, al regista non riesce il miracolo di inscrivere sulla pellicola il corpo-segno dell’attore come aveva fatto con Mickey Rourke, con il suo corpo stracco e cicatrizzato che continuamente riverberava tra attore e personaggio. Per quanto adotti delle modalità di ripresa simili, con la macchina da presa sempre prossima ai movimenti del ballo e al volto dell’attrice - chiaramente un ruolo per puntare all’Oscar – il film rimane imbrigliato nelle sue molte trame senza riuscire a spiccare mai il volo.
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