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Tron Legacy
Tron Legacy
Redazione - 06 Gennaio 2011
“Nel 1982 rivoluzionò il cinema e la concezione della realtà virtuale. A partire dal 5 Gennaio il sequel del capolavoro di Lisberger è nei cinema italiani su distribuzione Walt Disney Studio Motion Pictures. Ecco il giudizio di AV Magazine curato da Alessio Tambone, Dimitri Bosi e Roberto Rosa”
Pagina 1 - Introduzione

Uno dei sequel più attesi dagli incuriositi appassionati è finalmente in sala. Anticipato dall'uscita in 3D a ridosso delle festività natalizie, Tron Legacy è dal 5 Gennaio distribuito in tutte le sale italiane da Walt Disney Studio Motion Pictures anche in versione 2D. Prodotto dalla stessa Disney e da quel Steven Lisberger che nel 1982 fu mente e regista del primo film, Tron Legacy riparte circa 25 anni dopo il primo viaggio nella rete.

Protagonista è Sam Flynn (Garrett Hedlund), 27enne esperto di tecnologia figlio di Kevin Flynn (ancora Jeff Bridges), misteriosamente scomparso senza lasciar traccia diversi anni prima. Sam si ritrova catapultato nello stesso mondo di crudeli programmi e giochi da gladiatori nel quale il padre è rimasto intrappolato per 20 anni. Insieme alla fidata Quorra (Olivia Wilde), padre e figlio cercheranno la riscossa contro CLU, il programma pronto a tutto pur di impedire la loro fuga.

Tron Legacy è diretto da Joseph Kosinski, giovane (aveva 8 anni quando ha visto il primo Tron) all'esordio nel mondo cinematografico ma apprezzato e conosciuto per il suo talento nella direzione di spot commerciali molto particolari. Tra i suoi prodotti vere e proprie chicche da cortometraggio per Halo, Gears of War e Nike. Kosinski è inoltre laureato in architettura alla Columbia University, aspetto non secondario per un film che fa del suo design una delle caratteristiche prioritarie.

Pagina 2 - Tron: anno 1982

In una galassia lontana lontana… l’attacco di Star Wars ci riporta indietro a quel lontanissimo1982 in cui, sull’onda del successo crescente dei videogiochi, la Walt Disney vara un progetto decisamente azzardato: affidare una produzione di quasi 20 milioni di dollari a un regista esordiente, Steven Lisberger, ad un produttore esecutivo esordiente, Donald Kushner, utilizzando per di più una tecnica ancora inedita, ovvero sperimentare per la prima volta l’utilizzo del computer nella realizzazione delle sequenze di un film. In realtà il progetto di Tron risale al 1976, quando dalla fascinazione di Lisberger per i videogiochi, nasce il germe di un’idea che è comunque completamente animata e presenta solo alcune sequenze di ripresa reale. Kushner e Lisberger pianificano di girare il film in maniera indipendente, creando un proprio studio d’animazione e coinvolgendo una società di informatica.

Ma una volta finito lo storyboard e ultimate delle sequenze test, si rendono conto di essere arrivati finanziariamente ad un punto morto. Cercano allora un sostegno alle grandi major passando per MGM, Columbia e Warner, ma senza successo; solo la Disney, pur tra molte diffidenze e imponendo un significativo rimaneggiamento dello script e dello storyboard, decide di varare il progetto.

Ma la sua realizzazione sarà tutt’altro che semplice e forse il risultato, per quanto ormai assurto allo statuto di culto e dell’innegabile fascino visivo, non dà la misura delle enormi fatiche tecniche affrontate, al pari forse di altri grandi esempi come il coevo Un sogno lungo un giorno di F.F. Coppola. Il cotè al “neon” del film - frisbee, pelote, motociclette annesse - ha avuto enorme fortuna conoscendo in questi trent’anni rifacimenti e adattamenti praticamente in ogni campo dello scibile informatico ed audiovisivo. Lisberger si trova affiancato da figure del calibro di Peter Lloyd, Moebius (uno dei più grandi disegnatori contemporanei) e Syd Mead (visual consultant di Star Trek e Blade Runner); gran parte della riprese vengono effettuate in bianco e nero utilizzando due differenti formati di pellicola (35mm per le scene di computer grafica e un 65mm per le scene live) e con scenari ridottissimi così da consentire dei massicci interventi in postproduzione: la pellicola viene spedita a Taiwan dove viene colorata a mano con una tecnica degna del preistorico pochoir Pathè.

Ben quattro società di informatica vengono utilizzate dalla Disney per creare le animazioni al computer, di fatto non più di 15/20 minuti nel film, ma tanto basta per fare di Tron una pietra miliare nella storia del cinema digitale. Animazione classica, computer grafica e riprese live tutto alla fine risulta perfettamente fuso e coerente in un racconto dal puro stile disneyano – e molto più fantasy che fantascienza - in cui l’apparizione finale del Master Control Program è degna della strega di Biancaneve.

Pagina 3 - Le nostre impressioni

Il giudizio secondo Dimitri Bosi

Moltissimi sono i richiami visivi e narrativi tra i due film, Tron e l’odierno sequel Tron Legacy, moltissime le situazioni reiterate - di cui dànno conto gli altri interventi presenti nello speciale – ma l’aggiornamento visivo passa a nostro avviso ed inevitabilmente, attraverso un richiamo “liquido”, “fluido”, e non ci riferiamo solo ai numerosi elementi legati all’acqua presenti nella messa in scena. Strumenti e oggetti – moto e veicoli vari - di questo nuovo Tron Legacy prendono corpo filiformi e leggeri intorno ai suoi utilizzatori, partendo da oggetti spesso minimali; scontri e duelli si svolgono dentro spazi degni di un acquario la cui consistenza è lontanissima dalla durezza arcaica e solida del computer del primo Tron. Insomma tutto sembra scorrere come sulla superficie levigata di un touch screen la cui profondità 3D non è mai eccessivamente esibita ma sempre “giusta”.

Solido e liquido si passano la mano e il computer non è più una stregoneria nelle mani di uno spietato manager come accadeva allora, ma uno strumento agile nelle nostre mani - quasi cucito intorno a noi - e non ancora, e speriamo mai, l’approdo misticheggiante e new age del finale di questo Legacy. Conta allora solo il flusso di immagini e suoni mai banali ma sempre potentemente evocativi che il film riesce a trasmettere in ogni momento.

Il giudizio secondo Alessio Tambone

Tron Legacy è un grande spettacolo audio/visivo. La forza del film sta infatti nello stile utilizzato dai filmfilmmaker, unico e fortemente (e fortunatamente) ispirato in maniera ineccepibile al primo Tron del 1982. Del resto si era capito subito che l'idea visiva era quella giusta quando la Disney, per sondare il terreno del pubblico, presentò al Comic-Con del 2008 un teaser intitolato VFX Concept Test. La grande risposta degli appassionati convinse la Disney a proseguire nella lavorazione, finalmente in seria pre-produzione dopo anni di tentati script prima rivoluzionati e poi cestinati (Tron Legacy tornerà al Comic-Con nel 2009 con una replica dell'Arcade di Flynn con tanto di postazioni di Space Paranoids e nel 2010 per la consueta promozione, diventando così il primo film presente nella manifestazione per 3 anni consecutivi). Ad accompagnare le immagini c'è inoltre un sonoro da brivido, con un canale LFE che pompa come un matto e le straordinarie musiche realizzate dai Daft Punk (comprate la colonna sonora) che combinano esecuzioni d'orchestra e musica elettronica. Il duo francese ha curato inoltre anche l'ottimo design dei suoni.

E' purtroppo veramente inconsistente la trama, povera sotto ogni aspetto, con personaggi antipatici e con una inutile e alquanto fastidiosa componente zen innestata in Kevin Flynn, che risulta così ampiamente irritante. Sicuramente meglio la versione 2.0 di CLU interpretato sempre da Bridges. Dispiace inoltre che un superlativo Michael Sheen (interpreta Castor) non sia stato utilizzato in più scene, con un personaggio assolutamente riuscito che si pone a metà strada tra il Joker de Il cavaliere oscuro e l'Alex di Arancia meccanica.

Tutto sommato intatte nella concezione i giochi nella rete, che acquisiscono giustamente - è la tecnologia che avanza - una spiccata tridimensionalità. Nella sfida con le lightcycles ci sono dieci partecipanti che si muovono su più livelli della griglia. Le riprese complessivamente hanno richiesto 8 settimane, mentre la post-produzione a causa dei numerosi effetti, è durata 68 settimane. Tanti i riferimenti comunque graditi al primo Tron (il Master Control Program, le interfacce, il laser Shiva e gli oggetti nella stanza del piccolo Sam) e agli altri film di genere. Non è inoltre casuale il riferimento a Il buco nero (anno 1979) dato che il regista di Tron Legacy Joseph Kosinski sarà dietro la macchina da presa per il remake della pellicola previsto per il 2012.

Voto finale

Dimitri Bosi 7
Alessio Tambone 6

"Io non sono tuo padre Sam... e sono molto felice di vederti!"

Pagina 4 - Il nuovo look

Il distacco tecnologico e concettuale con un film realizzato negli anni '80 è evidentemente enorme. Ma la produzione ha deciso di non allontanarsi troppo dalle linee geometriche e forzatamente semplici del primo Tron. L'elemento unificatore è sicuramente la luce, aspetto comune a tutti gli oggetti presenti nel film. All'interno della rete la luce è un tratto - estremamente elegante - che distingue buoni e cattivi. I personaggi fedeli a CLU indossano infatti tute nere illuminate con l'arancio e il rosso, mentre lo stesso CLU esibisce visivamente la sua supremazia con la luce gialla. I colori degli altri abitanti sono invece il bianco ghiaccio, il blu e l'argento.

Tron Legacy colpisce visivamente anche perché il team ha cercato di utilizzare la computer grafica il meno possibile. Sembra strano di questi tempi, ma partendo da modelli digitali e utilizzando la tecnologia CNC (Computer Numerical Cutting), l'artista Neville Page, i disegnatori e i costumisti hanno realizzato delle vere tute. Quelle che si vedono sullo schermo sono infatti costumi realizzati in schiuma di Latex con l'applicazione di lampade elettroluminescenti ricavate da una pellicola flessibile di polimero.

Al contrario, le tute delle sirene sono state costruite con un composto di gomma applicato alla lycra che ha donato quella irriproducibile forma elegante ma estremamente difficoltosa da indossare. Per ogni vestizione era infatti necessario un team di parrucchieri, truccatori, due costumisti e circa tre ore di preparazione.

Nella rete tutti avevano le loro tute di schiuma. Oltre 140 costumi completi, anche per i personaggi minori, realizzati con un budget stimato solo per il reparto guardaroba di ben 13 milioni di dollari. Ogni singolo costume per i gladiatori della rete aveva un costo di circa 60.000 dollari.

Pagina 5 - Scenografie e attrezzature

La stessa filosofia di centellinare - per quanto possibile - l'utilizzo della computer grafica è stata riservata anche alle scenografie, costituite spesso da interni minimalisti e moderni con illuminazioni agli angoli e direttamente nei pavimenti. Dei circa 70 set necessari per il film solo 15 sono stati realizzati con strutture reali miste ad una combinazione di compurer grafica.

L'hotel Shangri-La di Vancouver è stato utilizzato come sede della Encome, mentre l'appartamento di Sam è stato riprodotto su un molo all'interno della baia di Vancouver per sfruttare al meglio lo splendido skyline della città. Nei 6 studi a disposizione della produzione sono stati ricreati anche gli interni e gli esterni dell’Arcade di Flynn (lo storico Hull Building a Culver City in California utilizzato nel 1982 è oggi troppo diverso), il rifugio di Kevin e l'End of Line Club.

Novità anche per le leggendarie lightcycles, progettate da Daniel Simon - esperto disegnatore della Bugatti - che ha iniziato il lavoro partendo dagli schizzi originali di Syd Mead, il concept artist delle motociclette del primo film. Le nuove lightcycles formano un oggetto unico con il pilota, con caschi e corpi che diventano una parte integrante del design. Generate da dei piccoli bastoni, le lightcycles si formano gradualmente unendo prima di tutto parti interne come viti, cambio e ruote che prendono vita e si trasformano all'interno del dominio digitale.

Tron Legacy presenta anche altri veicoli come le potenti macchine Light Runner, il grande intercettatore a forma di U rovesciata che cattura per le strade i programmi ribelli, le navi cargo volanti Solar Sailers e l'immenso Rectifier, la nave da battaglia di CLU che contiene al suo interno il nuovo esercito. Anche in questo caso non tutto è frutto di computer grafica. La produzione per soddisfare il costante desiderio del regista Kosinki di miscelare reale e virtuale, ha infatti ingaggiato la Wild Factory, famosa per alcuni prototipi realizzati per la Volkswagen, per costruire interamente o in parte questi veicoli.

Una piccola chicca: anche il disco, depositario della memoria e utilizzato nei combattimenti come boomerang, è stato costruito realmente. Ogni disco era infatti un anello con 134 led, radio controllato e attaccato alla tuta attraverso un magnete. All'interno conteneva inoltre le batterie e i circuiti elettronici che davano luce anche alle tute luminescenti.

Pagina 6 - Tecnologia e stereoscopia

L'altra grande sfida è stata la realizzazione di CLU, facial-capture che ha permesso a Jeff Bridges di impersonare il cattivo con le sue sembianze giovanili. All'interno della rete infatti Kevin invecchia mentre CLU no. Si è partiti con uno stampo del viso dell'attore realizzando quindi una maschera con 52 sensori. Questo sistema è stato utilizzato come marcatore facciale per quattro macchine da presa legate ad un casco in fibra di carbonio denominato HMC (Helmet Mounted Camera).

Contestualmente è stata anche realizzata una versione digitale tridimensionale di Bridges partendo da decine sue foto all'età di 30 anni. Sincronizzando i segnali inviati dai sensori (attraverso la maschera) con il viso di questo modello digitale, la produzione è riuscita a creare un giovane Bridges tutto sommato abbastanza soddisfacente, dando soprattutto la possibilità all'attore, una volta indossato il casco, di recitare direttamente sul set insieme agli altri suoi colleghi.

L'ultimo aspetto da analizzare è la stereoscopia, utilizzata dal regista in maniera singolare. Le scene ambientate nel mondo reale infatti sono in semplice 2D, come correttamente riportato da un messaggio all'inizio della proiezione. Il 3D subentra quando la storia si sposta all'interno della rete. Abbiamo visionato Tron Legacy con tecnologia realD e siamo veramente insoddisfatti. La profondità irrisoria è nulla in confronto alla mancanza di seri elementi in pop-out.

Nelle pagine precedenti dell'articolo abbiamo raccontato l'incredibile spettacolo visivo offerto da Tron Legacy, frutto anche di una rete immersa nel buio e illuminata con intelligenza dalle tante sorgenti luminose fluorescenti presenti sulla scena. Oltre a non apportare alcun aspetto degno di nota, indossare gli occhialini 3D ammazza di fatto la luminosità dello schermo, abbattendo una delle importanti caratteristiche delle luci utilizzate. Se avete la possibilità, vi consigliamo quindi di scegliere una proiezione in 2D.

Pagina 7 - Lo spazio della disillusione

"Chi è, che cos'è un creativo? il creativo è colui che si colloca fra i canoni consolatori, confortanti, della cultura cosciente e l'inconscio, il magma originario, il buio, la notte, il fondo del mare. E’ questa vocazione, questa medianità, a fare il creativo. Egli abita, si pone, vive in questa fascia per operare una trasformazione, simbolo di vita." (Federico Fellini)

Nel 1982 (anno di uscita di Tron) il mondo dell’informatica era ancora un continente praticamente inesplorato. Per colonizzarlo, per renderlo abitato, ci si affidava ai “creativi” a persone, cioè, in grado di “collocarsi fra i canoni consolatori, confortanti, della cultura cosciente e l'inconscio” che scelgono “fra tutte le combinazioni che si potranno scegliere le più feconde”. Nel primo Tron, infatti, è proprio il cretativo Kevin Flynn a liberare in prima persona (si noti, infatti, che anche nel primo Tron è presente CLU - Codified Likeness Utility - ma, essendo sprovvisto della creatività umana, fallisce e viene distrutto) l’universo digitale dalla dittatura dell’MCP (Master Control Program). Dittatura, si badi bene, non autogenerata: nel mondo di Tron nulla poteva sfuggire al controllo umano, ma imposta dal perfido creativo Ed Dillinger.

Oggi, trent’anni dopo, l’informatica non è più l’ultima “nuova frontiera” sulla quale riversare quelle aspettative di progresso che l’occidente ha via via spostato più in là. Ancora una volta qualcosa è sfuggito al controllo umano e si è corrotto (o forse si è corrotto proprio per via del controllo umano), le aspettative alte hanno lasciato il passo alla disillusione. Disillusione, che è diventata la chiave di lettura privilegiata di tutto il cinema futuribile di questi trent’anni e i cui germi sono presenti già nel coevo Blade Runner fino a trovare la definizione finale nella saga di Matrix (entrambi ossequiosamente omaggiati in questo Tron Legacy).

La stessa parola “creativo” è diventata desueta. Così nel film, le poche volte che viene usata è solo come riferimento ad un tempo che fu. Se vogliamo evoca lo stesso sapore di alti ideali, ma anche di polvere e sconfitta che evocava la parola “Cavaliere Jedi” in Guerre Stellari (tantissimi sono i riferimenti che legano sia il primo che il secondo Tron alla saga di Lucas, ma lasciamo ai lettori il gusto di trovarli).

E’ proprio questa disillusione a creare lo scontro fra la “cultura cosciente” e “l’inconscio” (per dirla con Fellini), che porta il creativo stesso a sdoppiarsi. L’uno, privato della spinta ideale (di una visione di futuro), resta in balia delle (tante e contraddittorie) sovrastrutture culturali: raramente come in Tron Legacy è possibile trovare un prontuario di superficiali riflessioni “filosofeggianti” che pescano a casaccio fra oriente ed occidente. L’altro (l’inconscio) una volta liberato dalla guida della razionalità non può che dare sfogo alle sue tendenze egemonizzanti.

Ancora una volta, come in tanta parte del cinema e della letteratura occidentale degli ultimi due secoli “il sonno della ragione genera mostri”. O, meglio, la sconfitta della razionalità genera doppi (come accade sempre da Stevenson in poi). Doppi costretti ad incarnare il nostro lato oscuro e ad addossarsi le responsabilità delle nostre sconfitte. Doppi con i quali, infine, portare a temine quel percorso catartico che passa inevitabilmente attraverso lo scontro e il reciproco annientamento.

Nella rinuncia all’azione “in prima persona” di Kevin Flynn in favore di quella “in terza persona” del suo doppio CLU Tron Legacy, pur in un’apparente fedeltà all’originale, ne ribalta, in realtà, la visione “filosofica”. Se il primo è tutto centrato sulla forza “creativa” di Kevin Flynn, il secondo ne ammette la sconfitta addossandone peso e responsabilità a CLU.

Infine, Tron Legacy dimostra come il paradigma del doppio apparentemente identico ma privo di creatività, può essere (curiosamente) esteso ad una certa tendenza del cinema hollywoodiano contemporaneo capace di creare copie (ringiovanite) di classici del cinema di genere degli anni ‘70 e ’80 privati, ormai, della loro “anima rivoluzionaria” ma incapace di dargliene un’altra!

Roberto Rosa