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Dopo aver venduto la sua società di annunci pubblicitari per dieci milioni di corone, il ventitreenne Daniel Ek piuttosto che godersi i soldi decide di fondare una nuova impresa il cui scopo è quello di rendere la musica fruibile a tutti gratuitamente. Si unisce a lui Martin Lorentzon che crede nelle capacità di Daniel e sceglie di investire nella società grosse somme di denaro. Quella che fin dall’inizio si delinea come una rivoluzione che potrebbe far comodo a tutti si scontra però con le case discografiche che non hanno intenzione di far mutare un mercato flagellato dalla pirateria ma ancora gestibile e soprattutto in mano loro. Sarà solo grazie all’impegno indefesso di Daniel, Martin e gli altri collaboratori scelti con cura lungo il cammino che nel giro di qualche anno Spotify diventerà l’app di streaming musicale più utilizzata nel mondo. Sviluppata da Christian Spurrier e Luke Franklin, basata sul libro Spotify Untold di Sven Carlsson e Jonas Leijonhufvud, The Playlist racconta di un giovane Daniel che nell’assistere alla crisi del mondo della musica ad opera di piattaforme come Pirate Bay pensa bene di rendere la condivisione qualcosa di legale rendendo ogni brano esistente al mondo disponibile per tutti. Quando questo succede Youtube sta per nascere e gli mp3 si ascoltano col glorioso Winamp. Da bravo osservatore e analista della rete, decide così di gettarsi in un’avventura globale, dopo essere stato a capo di un’attività per creare siti web a soli tredici anni guadagnando circa 50 mila dollari al mese, fondatore della società Advertigo, e CEO di μTorrent poi ceduta a BitTorrent. Al contrario di quello che avrebbe potuto comodamente essere, la serie non racconta solo di Daniel Ek, parte da lui per poi concentrarsi sui principali fautori di Spotify. La storia è una vera e propria playlist, ogni episodio è dedicato a uno dei personaggi che hanno contribuito a che l’app venisse alla luce. In questo modo ogni aspetto della macchina viene approfondito e tutte le facce del dado vengono rivelate direttamente da chi le rappresenta. Ogni episodio si conclude infatti con un personaggio che, guardando in macchina, sostiene che le cose siano andate diversamente da come le ha raccontate chi lo ha preceduto. Il primo a mettere in dubbio la visione di Ek è Per Sundin, CEO di Sony Music Entertainment nei paesi nordici, che rappresenta l’industria musicale. Sul orlo di un tracollo di proporzioni epiche, Sundin viene costretto a licenziare collaboratori ogni mese, misura che non può certo fermare un’emorragia mondiale ma che indica la gravità della situazione in modo inequivocabile. Sentir dire da Daniel che vorrebbe rendere la musica gratuita lo manda ovviamente su tutte le furie, e se inizialmente lo spettatore lo percepisce come il male, una volta dentro al suo mondo le spiegazioni arrivano. È uno dei personaggi chiave, quello che ha scoperto lo scomparso Avicii quando era ancora conosciuto come Tim Bergling, e ritornerà anche negli episodi successivi al suo. Prendi il mondo orribile e caotico in cui viviamo e lo rendi perfetto. L’ultimo episodio è dedicato a Bobbi T, cantante soul, amica di Daniel dai tempi del liceo. Appare già all’inizio della serie quando, con sua somma sorpresa e gioia viene scritturata dalla Sony, per poi ritrovarsi nel finale a far fatica a vivere di musica proprio a causa di Spotify. Nonostante sia interpretato dalla cantante svedese Janice, il personaggio è del tutto inventato, così come il suo episodio è collocato in un ipotetico futuro, nel 2024. Avviene così uno scollamento tra ciò che è verosimile e ciò che è semplicemente immaginato, a scapito della buona realizzazione del prodotto fino a quel momento. Il racconto è drammatico e intenso ma inefficace perché mai accaduto, e la credibilità dell’intera serie viene molto intaccata. La storia di Taylor Swift che abbandona la piattaforma, probabilmente come protesta per i bassi introiti per gli artisti è invece vera e sarebbe stato opportuno approfondirla molto di più per entrare nei veri gangli del sistema e farne una critica decisamente più azzeccata. La qualità delle immagini è in partenza alquanto bassa. Nonostante la buona macchina a mano, la fotografia non aiuta affatto a riportare in quegli anni (sebbene il metodo di ripresa sia tipico di una certa abitudine di allora, pessima) e non crea una fascinazione adeguata. Ma solo all’inizio. Perché poi l’impostazione stilistica cambia via via che la startup evolve, particolarmente con l’innesto dell’avvocato Hanson. Una crescita che avrebbe potuto essere costante procedendo di pari passo all’espansione della società e alla dilatazione della storia. Ma purtroppo così non è. La scrittura invece è ben realizzata. Ciò che nei primi episodi appare come fonte d’ispirazione anche per chi non abbia intenzione di intraprendere una carriera da amministratore delegato, man mano che il racconto procede diventa giustamente altro, contrapponendosi ferocemente a una realtà imprenditoriale priva di scrupoli. Se la nascita di Spotify possiede velocità e dinamica che si scontrano con la lenta burocrazia, il suo consolidamento fa sì che i suoi attori diventino altro. Daniel in testa. Che da sintesi del confronto tra Per Sundin e Peter Sunde (CEO di Sony e creatore di Pirate Bay) si trasforma lentamente ma inesorabilmente in una figura quasi divina ma in negativo. La costruzione dell’intreccio crea senso e densità, e il suo scorrere intriga e appassiona, se non fosse per quell’ultimo capitolo che chiude una buona serie drammatica con una fantasiosa nota stonata. VALUTAZIONI dal trailer all’intera serie soglia d’attenzione visione The Playlist | miniserie sviluppata da Christian Spurrier, Luke Franklin basata su Spotify Untold di Sven Carlsson e Jonas Leijonhufvud personaggi interpreti critica IMDb 7,6 /10 | Rotten Tomatoes critica 6,3 /10 utenti 4,5 /5 | Metacritic critica 60 /100 utenti 5 /10 |
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