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2092. La vita sulla Terra sta diventando insostenibile. La società UTS ha costruito una stazione orbitante in cui è riprodotta una vita terrestre ideale. Ma diventarne abitanti è esclusiva di pochi fortunati. Gli space sweepers, spazzini dello spazio, rimuovono i detriti lungo l’orbita terrestre per rivenderli e assicurarsi la sopravvivenza. Si occupa del lavoro anche l’equipaggio della navicella Victory che nel recuperare un carico trova al suo interno una bambina, Dorothy. Ma scoprono presto che la piccola sarebbe in realtà un robot che come una bomba può deflagrare in ogni istante. Eppure Dorothy si mostra adorabile e i componenti della Victory, dopo aver cercato di venderla a un prezzo esorbitante, cercheranno di capire la verità sulla sua identità e sul perché sia ricercata. I primi 10 secondi di Space Sweepers sono un’evidente citazione a Blade Runner, sia nelle immagini, che nei suoni, che nelle note musicali. E non è un caso perché i riferimenti al capolavoro di Ridley Scott sono diversi nelle premesse. La terra sta morendo e il sole è sempre più debole. I personaggi parlano ognuno nella propria lingua. E la musica che accompagna il tutto suona proprio come la colonna sonora di Vangelis. Poi tutto si sposta nello spazio e le atmosfere virano verso quelle di Star Wars. Il film è degno di nota nonostante alcuni difetti decisamente evitabili, sia in sceneggiatura che in fase di editing. I dialoghi sono spesso troppo incalzanti, non lasciano respiro soprattutto quando mescolano momenti colloquiali a questioni tecniche che per chi non sia un ingegnere aerospaziale del futuro non sono di immediata comprensione. Specialmente poi per chi non è abituato ai sottotitoli che in vari momenti sembrano esser stati tradotti da Google Translate e questa mancanza di cura vizia un poco la visione. È strano infine come - sebbene sia consigliata la visione in lingua originale - un film del genere abbia l’audio in diverse lingue tranne l’italiano. Le immagini risultano piacevoli grazie ad effetti speciali ben realizzati e una fotografia frizzante. La storia non ha niente di particolarmente originale ma scorre bene grazie alla buona consistenza dei personaggi la cui varietà arricchisce la narrazione e dona il giusto ritmo e vigore all’intreccio, anche e specialmente per la transizione che le loro vite hanno subito in seguito ai cambiamenti del pianeta che da terrestri li ha trasformati in marinai del mare magnum spaziale. Una regola per chi scrive o mette in scena un film recita che sarebbe bene evitare nel cast artistico persone troppo anziane, animali o bambini, perché sono i più complessi da gestire. Eppure qui la piccola Dorothy alias Kot-nim tiene in piedi una buona metà dell’opera (un po’ come Baby Groot nel secondo capitolo di Guardiani della Galassia). Non solo il suo personaggio è la protagonista intorno alla quale tutto ruota ma i suoi modi sono tanto deliziosi, quanto la sua provenienza e il suo destino sono oscuri. Il capitano della Victory, Jang, era un’enfant prodige che aveva creato alcune invenzioni di alta tecnologia per la UTS. Ma una volta venuti a galla gli scopi dell’azienda aveva misteriosamente cambiato vita scegliendo la pirateria. Diventata una guerriera senza troppi scrupoli, guida l’equipaggio col piglio di un vero lupo di mare che non si fa mettere i piedi in testa da nessuno. Tiger Park sulla Terra era un boss della droga. Sulla nave gestisce i vari macchinari ed è un appassionato di armi. Ma di fronte a Kot-nim diventa dolce e premuroso come un’amorevole maestro elementare. Bubs è un robot antropomorfo che desidera diventare umano. È dotato di coscienza propria al pari degli altri compagni e sogna di poter guadagnare abbastanza per potersi permettere gli innesti di pelle che come un novello Pinocchio lo tramutino in una persona anche esteriormente. Tae-ho era un militare della UTS, privilegiato e rispettato perché tra i migliori, fin quando una crisi di coscienza lo priva di ogni cosa. È in cerca della figlia perduta le cui ricerche si sono interrotte a causa delle sue scarse possibilità economiche. Una delle cose che saltano all’occhio è una forte critica al predominio cultural-economico americano. Essendo in un universo sudcoreano la cosa è normale, ma per chi come noi è abituato alla propaganda a stelle e strisce praticamente in ogni loro prodotto audiovisivo la percezione è quasi alienante. Ed essendo subliminale non è d’immediata lettura anche se di facile condivisione. La personificazione di ciò è James Sullivan, l’imprenditore apparentemente illuminato e pacifico a capo della UTS. Una sorta di salvatore del genere umano che in realtà nasconde un animo ignobile mosso dal bisogno di restare giovane e detenere un potere illimitato. Un parallelo evidente con economie che appaiono belle solo se viste dall’esterno, ma che in realtà celano un consumismo che fa sì che si sia perennemente in debito, come accade nel film. Ogni volta che gli spazzini guadagnano qualcosa vengono subissati da altri debiti ben più grandi dei loro introiti. Le efficaci scene d’azione si mescolano all’alternanza di commedia e dramma creando una tensione continua verso il traguardo finale. Un intrattenimento, certo, ma supportato da un buon impianto di scrittura e regia che dirigono lo spettatore tra i meandri di un film godibile, non scontato e che è in grado di far ridere ed emozionare con la complessa semplicità che non tutti i blockbuster sono capaci di esprimere. Un buono modo per trascorrere un paio d’ore davanti al televisore. Nota tecnica a cura di Emidio Frattaroli VALUTAZIONI Regia 7,5 Sceneggiatura 7,5 Recitazione 7 Space Sweepers (Seungriho) regia Jo Sung-hee sceneggiatura Yoon Seung-min, Yoo-kang Seo-ae, Jo Sung-hee fotografia Byun Bong-sun musiche Kim Tae-seong personaggi interpreti critica IMDB 6,6 /10 | Rotten Tomatoes 6,5 /10 | Metacritic 64 /100 camera n.d.
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