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Il rapporto di SanPa con la verità è entrato in crisi nel momento in cui SanPa ha pensato che la sua immagine pubblica fosse più importante della sua verità interiore. L’uscita di SanPa: luci e tenebre di San Patrignano è stata la deflagrazione di un ordigno bellico parzialmente esploso ma rimasto ancora attivo nel sottosuolo per 25 anni. Un racconto tanto dettagliato quanto potente. Dentro ci sono le testimonianze di chi in quel microcosmo ci aveva vissuto, sia direttamente che indirettamente, con il fondatore Vincenzo Muccioli su cui è centrata l’intera serie. Ci sono gli ex ospiti della comunità, tra cui il suo braccio destro e autista personale Walter Delogu, padre della conduttrice televisiva e radiofonica Andrea che dentro San Patrignano è nata e cresciuta, anche lei presente nel documentario in brevi ma interessantissimi passaggi. C’è Red Ronnie, che al tempo da noto giornalista musicale si era proclamato “Soldato di San Patrignano” dando voce ed eco mediatica alle battaglie di Muccioli. C’è chi mette in risalto le luci del titolo e chi le ombre e chi, la maggior parte, le ricorda e le porta a galla entrambe, sottolineando come sia sopravvissuto “grazie e nonostante” SanPa. L’elenco dei personaggi raccontati nei cinque capitoli del documentario è davvero sterminato. Ma chi non si può non citare è Fabio Cantelli, anche lui ex ospite della comunità, uscitone a un certo punto ma poi tornato in preda alla disperazione legata alla ricaduta nella dipendenza dalla droga. Il suo racconto è fortissimo sia per la profondità con cui affronta quel ricordo che per il ruolo chiave che ricevette da Muccioli al suo ritorno, quello di responsabile della comunicazione di San Patrignano. Le reazioni alla docuserie non si sono fatte attendere. La comunità se ne è legittimamente dissociata. Così come hanno fatto altre figure molto coinvolte come Andrea Muccioli, figlio di Vincenzo, che ha proseguito il lavoro del padre per 16 anni e Letizia Moratti che col marito Gian Marco, scomparso alla fine del 2019, sono stati (e sono rimasti) finanziatori del progetto e grandi amici della comunità, nella quale hanno passato diversi momenti importanti tra cui tutti i loro pranzi di Natale. Tanti altri però (troppi) hanno ridotto quello che poteva essere un dialogo aperto, interessante e soprattutto ancora purtroppo attuale alla solita bagarre politica e strumentalizzazione mediatica. Per cui non li citeremo per dovere etico e buon gusto minimo. Quando si affronta un documentario bisogna tenere presenti due aspetti fondamentali: la costruzione delle immagini e il punto di vista. La quantità di materiale esaminato dagli autori in tre anni di lavoro era ovviamente gigantesca, sia per quanto riguarda le immagini dell’epoca che per le interviste realizzate oggi. Quello che è stato selezionato mostra una cura sia nel montaggio che a livello stilistico che nel nostro paese si è visto raramente. La potenza delle immagini di SanPa, accompagnate da una pregevole colonna sonora, sfonda lo schermo portando gli spettatori in quel tempo e in quei luoghi con una drammaticità esplicita, priva di filtri, in cui, anche chi quegli anni non li ha conosciuti, resta avvinto. Vedere un albergo trasformarsi in una piccola città, con tanto di ospedale, nell’arco di pochi anni lascia meravigliati. Gli ospiti che passano da cento a tremila. Muccioli che diventa un vero e proprio taumaturgo agli occhi di tutta Italia, per poi finire alla sbarra in più procedimenti giudiziari e in vari telegiornali, nazionali e non. Il vedere i protagonisti della storia oggi e, parallelamente, tra i venticinque e i quarant’anni prima, mette in evidenza la fortissima dedizione degli autori. Tutto è affascinante e contemporaneamente mette i brividi. La docuserie evidenzia i vari aspetti di quanto avvenuto tra il 1978 e il 1995, dalla fondazione di San Patrignano alla morte di Muccioli. Ciò che è rimasto nell’immaginario collettivo come una sfida per tanti versi persa, qui ottiene una verità molto più estesa. Le immagini iniziali mostrano dei ragazzi completamente alienati dagli stupefacenti che sbattono contro le siepi del centro cittadino, finendo per cadere di sotto da una sporgenza. Dei veri e propri zombie, come più volte vengono definiti nella serie, proprio come in un film dell’orrore. Da qui si cominciano a comporre le tante storie che fecero nascere la comunità, accanto a tante domande, tra cui quella che riguardò il cosiddetto “metodo San Patrignano” a causa del quale avvennero gli episodi che segnarono negativamente il percorso, trasformando un luogo di rinascita in luogo di soprusi, detenzioni e torture fino alle estreme conseguenze. Quando una struttura, fisica e organizzativa, diventa così grande sarebbe saggio delegare il più possibile. Mentre San Patrignano cresceva in maniera quasi abnorme, le gerarchie sono rimaste nelle mani del fondatore, con poco confronto e insufficiente spirito critico. E d’altronde in quella situazione era davvero difficile scegliere qualcuno che potesse sostituire degnamente una volontà così spiccata e forte. Anche perché Muccioli disprezzava tutte le strutture pubbliche ritenendole a ragione le prime responsabili dell’abbandono dei tantissimi ragazze e ragazzi che in quegli anni erano del tutto invisibili e in lui trovarono un padre e un salvatore. La comunità è ancora viva ed è diventata un esempio per moltissime altre realtà nate in seguito in tutto il mondo, non solo nel campo della tossicodipendenza. Questo è forse uno dei pochi difetti della serie, il fatto di non aver mostrato quello che oggi è diventata la comunità senza Vincenzo. Il racconto è imponente per via della varietà di voci che raccoglie. E proprio per questo risulta notevole: perché il suo punto di vista è imparziale, specialmente se lo si riesce a vedere in libertà, provando, per quanto possibile, a sospendere ogni giudizio. Oppure provando a stare da entrambe le parti: quella di chi ragionando oggettivamente nota i limiti nell’agire di Vincenzo Muccioli e quella di chi avendo vissuto tutto in prima persona si è ritrovato in una condizione tutt’altro che semplice. Da una parte i tossicodipendenti e le loro famiglie, che nel dover affrontare un nemico tanto forte, non avevano la capacità, la forza e/o gli strumenti per reagire e dall’altra chi quel coraggio e determinazione ce l’ha avuta esponendo sé stesso e anteponendo la missione di salvare tutte quelle vite a un’esistenza normale con la propria famiglia. Nel bene e nel male che questo ha comportato. Perché in SanPa si passa da una posizione all’altra ad ogni cambio di scena. E alla fine qualcuno resterà dell’opinione che aveva prima e qualcuno forse la cambierà, o almeno potrà mettere meglio a fuoco. Con la certezza che quello che i media non sono stati in grado di fare, questo documentario lo fa: mostrarci se e quanto siamo cambiati dal 1995 ad oggi attraverso un viaggio a ritroso nelle nostre coscienze, decisamente più obiettivo ed esaustivo di qualsiasi altra immagine che ci sia giunta o ci sia rimasta dentro in tutti questi anni. VALUTAZIONI soglia d’attenzione visione dal trailer all’intera serie SanPa: luci e tenebre di San Patrignano ideatore Gianluca Neri regia Cosima Spender scritto da Carlo Gabardini, Gianluca Neri e Paolo Bernardelli fotografia Diego Romero montaggio Valerio Bonelli musiche Eduardo Aram prodotto da 42 critica IMDB 7,9 /10 |
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