![]() |
|||||||||
Stampa | |||||||||
|
|||||||||
Pagina 1 - Introduzione Durante una spedizione in un territorio incontaminato e sconosciuto, il leggendario esploratore Hugh Glass viene aggredito da un orso, quindi abbandonato dagli altri compagni di caccia. Nonostante le feriti mortali e la solitudine, Glass cercherà di non soccombere. Grazie alla sua forte determinazione e all’amore che nutre per sua moglie, una indiana d’America, inizierà un viaggio simile a un’odissea, attraverso il grande e selvaggio West, per scovare l’uomo che lo ha tradito. Il suo inseguimento implacabile diventa un’epopea che sfida il tempo e le avversità, alimentata dal desiderio di tornare a casa e ottenere la meritata giustizia - click per ingrandire - click con pulsante dx e "apri in altra finestra" per l'immagine in massima risoluzione - A distanza di un solo anno dallo splenido Birdman, il regista messicano Alejandro González Iñárritu torna sul grande schermo con l'adattamento della storia di uno dei più celebri eroi del vecchio West americano. La pellicola, molto complicata dal punto di vista tecnico, non è però un western nel senso più noto del termine, ma un vero e proprio impulso primordiale alla sopravvivenza. Nel cast spiccano Leonardo DiCaprio e Tom Hardy. Ecco il nostro giudizio. Pagina 2 - Commento al film Magnifico! Non capita spesso di uscire dalla sala cinematografica con la convinzione di aver assistito a un capolavoro. Domenica mi è successo. The Revenant è un gioiello, un complicato ma riuscito esercizio tecnico, uno spettacolo visivo che cattura dalla prima all'ultima, magnifica inquadratura. Merito, in concerto come nelle migliori produzioni, del regista e del direttore della fotografia. Alejandro G. Iñárritu ed Emmanuel Lubezki orchestrano riprese e inquadrature mozzafiato, sfruttando fino in fondo la scelta di girare tutto il film utilizzando solo luce naturale, opzione che se ben maneggiata può dar luogo a pellicole magnifiche, come dimostrato da alcuni capolavori della storia del cinema. - click per ingrandire - click con pulsante dx e "apri in altra finestra" per l'immagine in massima risoluzione - A supporto, l'utilizzo della nuovissima Arri Alexa 65, una macchina da presa large-format, con sensore CMOS ARRI A3X e un'area attiva di 54,12 x 25,59 mm, risoluzione nativa di 6,5K (6560 x 3102 pixel) e ottiche Hasselblad scelte dallo stesso Lubezki dai 12 ai 21 millimetri. Il gioiello tecnologico ha permesso ai cineasti di potersi affidare unicamente alla luce del sole o a quella del fuoco, garantendo nel contempo un'ottima profondità del girato. Come per Birdman, le riprese si distinguono per lunghi e fluidi piano-sequenza, che trascinano lo spettatore all'interno del film con grandi ma mai fastidiose evoluzioni (si passa da un particolare sul terreno a seguire il galoppare di un cavallo). A fare da contrasto, alcuni magnifici primi piani. Le inquadrature spesso inclinate verso l'alto, a enfatizzare gli splendidi scenari naturali con contre-plongée più o meno esasperati, e l'utilizzo di obiettivi grandangolari anche in riprese non panoramiche, completano il quadro, in un risultato visivamente incredibile. A supporto, un montaggio delicato (Stephen Mirrione, premio Oscar per Traffic) e in linea con la narrazione, con una colonna sonora minimale e straziante, ricca di archi ma anche di suoni ed effetti. Il film segna il ritorno al grande cinema occidentale di Ryuichi Sakamoto, a 18 anni da Omicidio in diretta di Brian De Palma, vincitore di un Oscar e di un Golden Globe per lo score del capolavoro di Bertolucci L'ultimo imperatore. - click per ingrandire - click con pulsante dx e "apri in altra finestra" per l'immagine in massima risoluzione - Tornando a The revenant, non si possono saltare gli attori. Leonardo DiCaprio segna una prova magistrale, fisica, tremendamente violenta, in condizioni di ripresa estreme, con sequenze girate nello stesso ordine cronologico degli eventi di narrazione proprio per agevolare l'attore nella sua interpretazione. Allo stesso livello è il coprotagonista, uno splendido cattivo interpretato da un sempre più bravo Tom Hardy. A voler trovare un difetto pensiamo allo script, adattato dal romanzo di Michael Punke, con alcuni passaggi che presentano tutti gli stereotipi dell'epoca, con trovate che ogni appassionato di Kit Carson o del grande Blek hanno incrociato almeno una volta. Oltre a sequenze oniriche forse un po' ripetitive. Con alcuni richiami a un Tarantino nella migliore forma, The Revenant probabilmente non piacerà a tutti, a volte anche estremamente cruento - ma anche per questo estremamente intrigante. Per me si potrebbe tranquillamente portare a casa almeno 5/6 Oscar (sulle 12 nomination), compresa quella al povero Leonardo, che ha dovuto azzannare fegato di bisonte pur essendo profondamente vegetariano. Alla fine della proiezione in sala c'era assoluto silenzio. Tutti hanno indossato con lentezza i cappotti e si sono avviati verso l'uscita senza proferire parola. Segno che The revenant ha fatto centro. Ho visto il film allo Space Cinema di Casamassima (BA). Leggermente deluso sia sul versante video che su quello audio. Le immagini, chiaramente desaturate per scelte stilistiche, soffrono in alcuni passaggi un calo di dettaglio, in particolar modo nelle panoramiche ma anche in alcune inquadrature in primo piano. Completano il resoconto alcune brevi inquadrature fuori fuoco. Non saprei però dare un'incidenza tra la reale capacità della sala e le estreme difficoltà di ripresa. Per questa considerazione bisognerà aspettare il rilascio in home video oppure effettuare una visione in una sala con proiettore 4K e al di sopra di ogni sospetto. Per quanto riguarda l'audio, l'edizione italiana perde il Dolby Atmos che invece è in quella originale. Putroppo la colonna sonora è in un misero 5.1. Un vero peccato poiché il film ben si prestava a una codifica più articolata (almeno 7.1, ancora meglio in Dolby Atmos), grazie ai continui movimenti sui tre assi della mpd e allo scenario praticamente utilizzato a 360° dal regista. Buoni i dialoghi dai canali anteriori, mentre il surround è afficace negli inserti laterali, quasi zero in quelli posteriori, vista la codifica in 5.1. Fiacco il canale LFE. E adesso tutti a rivedere Corvo rosso non avrai il mio scalpo di Sydney Pollack. Nelle pagine successive, come sempre, qualche nota di produzione interessante. La pagella secondo Alessio Tambone
Pagina 3 - Scenografie, costumi e trucco Il senso di naturalezza del film è dato chiaramente anche da scelte di scenografie e costumi. A curare la scelta e l'allestimento delle location, lo scenografo Jack Fisk, già impegnato in set impegnativi come Il petroliere, La sottile linea rossa e The New World - Il nuovo mondo. Prima delle riprese il regista Iñárritu aveva inviato ai suoi collaboratori una copia di Andrei Rublev diretto da Andrei Tarkovsky, pellicola del 1969 imperdibile proprio per il magnifico impatto visivo, suggerendo ai vari cineasti il design richiesto. Il set di Fort Kiowa è stato ricavato in una vecchia cava di ghiaia nello Spray Valley Provincial Park vicino Canmore, Alberta. La squadra di Fisk ha costruito il Forte con metodi e materiali del 1820, utilizzando legname già disponibile sul luogo, rendendolo inospitale e rozzo attraverso una volontaria approsimazione nei lavori. Vista la necessità di sfruttare solo la luce naturale, Fisk è stato costretto a costruire due forti speculari: uno che dava a est per le riprese del mattino e un altro che dava a ovest per le riprese che utilizzavano il sole pomeridiano. In un teatro di posa di Los Angeles è stato invece costruito un villaggio Pawnee, utilizzando materiali e tecniche autentiche (legno, fango e paglia), appartenenti alla cultura della stessa tribù. Da segnalare inoltre i set utili per le scene oniriche come la gigantesca montagna di techi di bisonte e le rovine della chiesa europea, mentre l'autentica barca a chiglia che si vede nelle prime scene, costruita secondo precisi standard storici, aveva in realtà nascosto al suo interno un motore da 450 cavalli per poter navigare controcorrente. - click per ingrandire - click con pulsante dx e "apri in altra finestra" per l'immagine in massima risoluzione - Anche la costumista Jacqueline West ha cercato ispirazione in alcuni ritratti reali, analizzando dipinti e schizzi di due noti pittori di quei tempi: Alfred Jacob Miller, che si era recato nelle Montagne Rocciose a metà del 19° secolo, uno dei pochi ad aver catturato scene di vita reale; e Karl Bodmer, uno svizzero noto per i suoi ritratti dei nativi americani, specialmente quello della tribù Mandan del South Dakota. Sian Grigg, artista del trucco, è stata ingaggiata espressamente per Leonardo DiCaprio, una professionista che ha curato l'attore americano in tutti i film dai tempi di Titanic (pensiamo a Gangs of New York, The Aviator, Shutter Island, Inception, J. Edgar, Django Unchained, Il grande Gatsby e The Wolf of Wall Street). Il suo difficilissimo lavoro in questo film è stato in qualche modo facilitato dalla scelta di girare in ordine cronologico, dando la possibilità di poter apportare ogni giorno leggere modifiche al trucco per riflettere l'evoluzione delle ferite del protagonista principale. Pagina 4 - Sopravvivenza Tranne che per alcune eccezioni, la produzione ha cercato set naturali che facessero da sfondo alle scene, con l'obiettivo di immergere gli attori direttamente nelle difficili condizioni climatiche narrate sullo schermo. La ricerca dei giusti paesaggi e del corretto clima ha richiesto ben 5 anni, con il magnifico risultato di fondali integri, non toccati da essere umani, con un fascino davvero poetico. - click per ingrandire - click con pulsante dx e "apri in altra finestra" per l'immagine in massima risoluzione - La maggior parte delle riprese sono state effettuate in Canada: in alcuni frangenti la temperatura sul set ha raggiunto la considerevole cifra di meno 27 gradi. Lo stesso Iñárritu ci scherza dicendo "Ho imparato che non esiste il tempo cattivo ma solo vestiti sbagliati", consapevole che le estreme condizioni hanno donato la suggestione da brivido che il tepore non avrebbe mai potuto trasmettere. Durante le riprese nelle vicinanze di Alberta, con un coordinatore della sicurezza sempre attento a possibili valanghe e comparsa di orsi (i due problemi maggiori per la produzione), è avvenuto un brusco cambio di clima, con un'ondata di caldo eccezionale che ha classificato di fatto quell'inverno canadese come il più caldo degli ultimi 23 anni. Alla disperata ricerca di neve, con squadre armate di vanghe che la raccoglievano dalle montagne vicine per arricchire quella presente sul set, la produzione ha deciso di spostare le riprese per due settimane nella Tierra del Fuego, sull'estrema punta meridionale del Sud America. In quel luogo sono stati effettuati gli ultimi ciak mancanti legati a paesaggi fortemente innevati.
|
|||||||||
Pagina stampata da AV Magazine: https://www.avmagazine.it Vietata la copia e la distribuzione (anche parziale) senza la previa autorizzazione di AV Raw s.n.c. Per maggiori informazioni : https://www.avmagazine.it/sito/legale/ Copyright 2005 - 2025 AV Magazine AV Magazine - registrazione Tribunale di Teramo n. 527 del 22.12.2004 Direttore Responsabile: Emidio Frattaroli |